Buccino e Gorla: due località estremamente lontane ed estremamente diverse. La prima nell'entroterra della provincia salernitana, un paesino sperduto; la seconda alla periferia di Milano. Entrambe accomunate da barbari quanto immotivati bombardamenti dei criminali Alleati che consegnarono alla morte innocenti bambini.

All'indomani dello sbarco alleato del 9 settembre, le condizioni di vita della popolazione divennero sempre più precarie. Quelle poche derrate alimentari fornite tra mille difficoltà nei mesi precedenti, erano un puro ricordo. Iniziarono a fiorire il mercato nero e fenomeni di sciacallaggio favoriti dalla libertà concessa ai detenuti per reati comuni.
Tra i tanti episodi più o meno noti merita di essere ricordato l'eccidio perpetrato ai danni della tranquilla e pacifica popolazione di un piccolo centro dell'entroterra salernitano, Buccino, che, come tanti altri, ricorda le "prodezze" dei liberatori. Questo episodio, più dei tanti altri forse ancora sconosciuti ai più, può destare raccapriccio e stupore. Vorrei avvicinarlo a ciò che accadde a Gorla, dove tanti piccoli innocenti vennero colpiti senza un motivo e una logica. Forse tentiamo di dare una spiegazione logica per ciò che logico non è, perchè dettato dalla pura bestialità ed incapacità ad agire ad armi pari e con lealtà. E' fin troppo facile mostrare i muscoli con i più deboli e ciò accadde a Buccino come a Gorla.
Nella stessa giornata il piccolo paese venne travolto da una marea di bombe che provocarono un centinaio di morti. La presenza nella zona di una colonna corazzata di soldati tedeschi aveva "autorizzato" gli angloamericani a compiere tali eccidi, che nel corso della guerra diventeranno tristemente frequenti soprattutto sulla popolazione inerme, colpevole, forse di considerare ancora alleati i tedeschi, nel rispetto dei patti e non come i caporioni di turno pronti a saltare sul carro dei vincitori.
Ripropongo per un degno ricordo di ciò che accadde, un articolo apparso dopo 11 anni dai fatti, pubblicato su un settimanale locale e a firma di Giacomo Mele, che fu negli anni successivi valente avvocato del foro salernitano nonchè combattivo dirigente del Movimento Sociale Italiano negli anni '70.
Il sole del sedici settembre '43 rischiarò Buccino con sprazzi di torbida luminosità che scivolavano pesantemente giù dalle non lontane creste degli Alburni in un'aria immobile ed attonita, mentre neri stuoli di corvi tracciavano l'azzurra chiarità mattinale con cupe strida, quasi in un presagio di sventura.
I campanili delle chiese dell'industre cittadina suonarono chiamando i fedeli alla Messa.
Ma lo strano presagio di sventure sospeso nell'aria di quel giorno di settembre, quel non so che di terribile ed al tempo stesso di arcano che rendeva obliquo il volo degli uccelli e faceva scartare bruscamente gli asini carichi di mosto per non so qual nervosismo, non trovava rispondenza nell'animo sempre lieto dei fanciulli, che la tristezza e la malinconia toccavano fuggevolmente come l'acqua che cade sulla superficie convessa di uno specchio e, lambitala appena, rapidamente si sparge.
Quel sedici settembre era un altro giorno di vacanza e vi tuffaste felici nello sfolgorio del sole, che doveva essere il vostro ultimo: una macabra larva dalle mani scheletrite e lorde di sangue vi tendeva l'agguato tra i tronchi e le cataste di tavole poste a stagionare presso quella segheria, che tante volte era stata teatro dei vostri giochi sperticati.
Sapete miei piccoli amici, io la ricordo spesso quella segheria e le nostre fantastiche cariche per immaginari campi di battaglia a cavalcioni degli immobili tronchi, e le accanite cacce alle lucertole con il lungo cappio d'erbaccia, gl'inseguimenti affannosi alle coccinelle, alle farfalle, e i graffi e gli strappi procuratici per cogliere le more dalle ostili siepi di rovi: e tutte tornate dinanzi alla mia mente: Nandino, Adolfo, Tonino, Ettore, Francesco ed altri ancora; un ghigno birichino, una testa adorna di riccioli neri, un ciuffo biondo, un viso scanzonato e sorridente, un camiciotto scucito, un pantaloncino consunto dal divertentissimo sdrucciolare lungo un canale di cemento, là, dietro la cappella di San Vito.
Giocavate beati tra i i tronchi quando un rombo di motori vibrò sinistramente nell'atmosfera. Erano gli arerei dei "liberatori". Voi non temeste: Nessuno in paese ebbe paura: Solo i colombi che tubavano sugli sbrecciati cornicioni di Sant'Antonio si levarono in volo nell'azzurro e scomparvero dietro le colline. Altre volte gli aerei dei "liberatori" avevano sorvolato Buccino, che era fuori d'ogni rotta strategica, ma si erano limitati a lanciare dei volantini esortanti la popolazione alla calma ed alla letizia, poichè tra pochi giorni le truppe alleate ci avrebbero portato la fiaccola luminosa della civiltà democratica.
Le stesse cose dai microfoni di radio Londra blaterava qualche rinnegato. E voi, miei piccoli amici, li vedeste venire gli aerei liberatori ed aspettaste il turbinio dei volantini nell'aria. La squadriglia volteggiò sul paese, poi si abbassò, picchiò, sganciò il suo carico di bombe, virò e tornando a volo radente infierì selvaggiamente con le mitragliere proprio su di voi fanciulli; falciò coloro che il tritolo delle bombe aveva risparmiati.
Un nero polverone sommerse il paese dilagando anche sulle campagne circostanti. Quando si fu dileguato, portato via dalla lieve brezza settembrina, biancheggianti sinistramente al sole le rovine delle case diroccate, brillò purpureo il sangue di circa cento assassinati.
I colombi tubano ancora sui cornicioni di Sant'Antonio e da quel settembre per undici volte il vino è ribollito nei tini e per undici volte sono ingiallite e rinverdite le foglie degli alberi.
Io mi fermo talvolta a contemplare i dolci tramonti di settembre; osservo il morbido gioco delle nuvolette rosate e dei cirri di croco all'orizzonte; mi prende l'incantesimo delle vaghe fantastiche forme che i vapori assumono nel ciclo dell'opale. Siete voi che muovete in mille fogge le nubi, compagni della mia fanciullezza? E' forse vostro l'argentino cicaleccio che mi carezza leggero le orecchie sul murmure soave del vento?"







(1895-1945)

Fernando Mezzasoma nasce a Roma nel 1907, ma si trasferisce presto a Perugia. Laureato in scienze economico-commerciali, diviene giornalista e si iscrive al PNF il 30 giugno 1931.

Alfredo Rocco nacque a Napoli il 9 settembre 1875. Intrapresa la carriera Accademica, è libero docente di diritto commerciale nell'Università di Parma nel 1899, prima straordinario e poi ordinario della stessa materia nell'Università di Urbino dal 1899 al 1902 e successivamente nell'Università di Macerata sino al 1905.

Nato a Paola, nel Cosentino, il 15 giugno 1897, si trasferì a Lucca ancora adolescente, diplomandosi in ragioneria. Partecipa come volontario alla Grande Guerra, con il grado di Tenente nei Bersaglieri, guadagnandosi due medaglie di bronzo al valore militare.


Ma la sua opera più grandiosa è lo Stadio dei Marmi al Foro Mussolini (1930-34), opera architettonica straordinaria, che fu costruita con marmo di Carrara (senza toglierne un briciolo per le altre costruzioni ed utilizzando scarti di pezzi più grossi), avvalendosi di eccellenti giovani scultori portati così alla ribalta.
Diviene così Comandante della nuova Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). In tale veste entra in disaccordo con Graziani, essendo fortemente contrario alla coscrizione, volendo mantenere lo spirito volontaristico originario della Milizia. Alla metà del 1944 Ricci si dimette dall’incarico, mantenendo la Presidenza di una risorta ONB.


(1888-1969)
Il Conte Ettore Tolomei nacque a Rovereto, in Provincia di Trento, allora austriaco, il 16 agosto 1865 dal Conte Tolomeo e la Contessa Olimpia. Giovinotto, si appassiona a Garibaldi e diventa irredentista. Laureatosi, diventa giornalista e Professore, cominciando a scrivere su giornali e riviste articoli contro l'Austria che destano i sospetti delle autorità; perciò si allontana spesso dal Trentino e cerca di ottenere consensi per le sue idee a Roma.










