venerdì 12 febbraio 2010

ETTORE MUTI (1902-1943)

I Personaggi del Fascismo



ETTORE MUTI (1902-1943)


"Il più grande temerario d'Italia"


Ettore Muti nasce a Ravenna il 22 maggio 1902, figlio di un impiegato dell'anagrafe. Di carattere rude sin da ragazzino, a soli 13 anni viene espulso da tutte le scuole del Regno per aver preso a pugni un professore.

Non si scompone molto per questo fatto e a 14 anni scappa di casa per andare a combattere nella Prima guerra mondiale (1916), ma i Reali Carabinieri ne scoprono l’età e lo rispediscono a casa.

L'anno seguente (1917) ci riprova a riesce ad entrare negli Arditi. Al fronte si distingue per le imprese spericolate e per l’incredibile audacia.

Si rende famoso quando il reparto di 800 uomini al quale appartiene viene mandato a formare una testa di ponte sulla riva di un fiume da attraversare.

Il suo gruppo riesce nell'impresa, ma, quando alla fine arriveranno i rinforzi, degli 800 partiti ne rimangono solo 23, tra i quali Muti stesso.

Terminata la Guerra Vittoriosa è tra i Legionari di Fiume con D’Annunzio. Il Vate gli dirà “Voi siete l'espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un'offerta senza misura, un pugno d'incenso sulla brace, l'aroma di un'anima pura”, soprannominandolo “Gim dagli occhi verdi”. In quei giorni incontra Mussolini, da cui resta folgorato e per il quale conserverà sempre una vera e propria venerazione. Tra i fondatori delle Squadre d'azione nel ravennate, più che alla politica preferisce le corse in automobile e le scazzottate contro i rivali.

Il 29 ottobre 1922 è alla testa dei Fascisti che occupano la Prefettura di Ravenna in contemporanea agli avvenimenti della Marcia su Roma.

Nel 1923 è Comandante della coorte Miliziana di Ravenna, nel 1924 è nominato Console della MVSN. Nel settembre 1926 si sposa con Fernanda, figlia del banchiere Mazzotti, che tenterà invano di opporsi alle nozze. Nel 1929 nascerà la sua unica figlia, Diana.

Nel 1927 viene gravemente ferito in un attentato a Ravenna. In seguito viene spostato a Trieste dove comanda la III Legione della Milizia Portuale. Qui incontra il Duca Amedeo d'Aosta, di cui diventerà grande amico, che lo convince ad entrare nella Regia Aeronautica (1936), con il grado di Tenente.

Si distingue in Etiopia e in Spagna. Nelle fasi finali del conflitto africano entra nella Squadriglia Disperata con Ciano, col quale stringerà una forte amicizia, Farinacci e Pavolini. In Ispagna, con lo pseudonimo di Gim Valeri, guida invece una sua Squadriglia bombardando i porti spagnoli, guadagnandosi varie medaglie d'argento e, nel 1938, una d'oro. Dalla Spagna torna con il soprannome di “Cid alato” e viene insignito dell'Ordine Militare di Savoia. Nel 1938 parte per l'Albania dove si guadagna, alla guida delle truppe motorizzate, un'altra medaglia che lo fa diventare a buon diritto il petto più decorato d'Italia.

Le medaglie di Ettore Muti


Nel 1939 Mussolini lo chiama alla Segreteria Nazionale del PNF per sostituire Starace. La sua nomina desta stupore perché se gli sono unanimemente riconosciute doti militari e coraggio inesauribile, meno evidenti sono le sue capacità politiche. Infatti non riesce a operare quel rinnovamento del Partito auspicato da Ciano, che l’aveva proposto, a Mussolini.

Scoppiato il secondo conflitto mondiale, è in seguito sostituito alla Segreteria del Partito da Adelchi Serena (ottobre 1940) ed è nella Regia Aeronautica per prendere parte attiva alla guerra col grado di Tenente Colonnello. Combatte prima in Francia, poi nei cieli d'Inghilterra con grande valore, ma si accorge subito che la guerra è stata affrontata con colpevole approssimazione e leggerezza. Smette di frequentare i Gerarchi, perdendo quella fiducia che riponeva nel Duce e anche l'amicizia che aveva con Ciano.

Nell'estate del 1943 entra nel Servizio Informazioni Militari. Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta di Mussolini, Muti manifesta apertamente il suo sdegno e si ribella a Badoglio, il quale lo rimprovera aspramente e lo pone agli arresti.

La notte del 24 agosto 1943 a Fregene, in Provincia di Roma, viene vilmente assassinato dai partigiani mentre i Carabinieri lo stanno portando in carcere.

Tributo alla Legione Autonoma Mobile "E. Muti", RSI.



(1902-1943)

martedì 2 febbraio 2010

RODOLFO GRAZIANI di Neghelli (1882-1955)

I Personaggi del Fascismo

RODOLFO GRAZIANI di Neghelli (1882-1955)

Il Generale Graziani: l'ultimo guerriero


Rodolfo Graziani nacque l’11 agosto 1882 a Filettino, nella Valle dell’Aniene in Provincia di Frosinone, da famiglia numerosa che lo indirizzò a studi religiosi nel Seminario di Subiaco. Rodolfo mostrò subito amore per l’avventura durante gli anni del collegio liceale. In lui si era sviluppata la tendenza alla carriera militare cancellando un eventuale Sacerdozio a cui non aveva in verità mai pensato. Non era molto attratto dalla politica.

Dal padre era comunque stato educato a saldi principj Nazionalisti e Monarchici. Per motivi economici non frequentò la scuola militare, ma preferì svolgere il servizio militare di leva nel plotone allievi ufficiali del 94° Fanteria in Roma.

Il 1° maggio 1904 fu nominato Sottotenente e destinato al 92° a Viterbo. Pur candidato a un concorso pubblico, lo disdegnò per proseguire come Ufficiale effettivo nel I Reggimento Granatieri di Roma (1906). Nel 1908 fu destinato in Eritrea, dove imparò subito l’arabo e il tigrino e si innamorò dell’Africa.

Destinato al primo battaglione coloniale con sede ad Adi Ugri, vi rimase quattro anni finché non fu morso da un serpente velenoso, il cui veleno lo fece tribolare per un anno intero. Nel 1913 sposò l’amica d’infanzia Ines Chionetti e sei mesi dopo è di stanza in Cirenaica. L’unica figlia gli nacque alla vigilia della partenza per la Grande Guerra quale Capitano. Più volte ferito, pluridecorato, promosso per meriti di guerra, citato nei bollettini militari e nei diari storici, tornò eroe, divenendo il più giovane Colonnello del Regio Esercito (36 anni, 1918).

A capo del 61° Fanteria, che egli aveva comandato in Macedonia, andò a Parma, sede Reggimentale, dove prese contatto, suo malgrado, con l’infuocato ambiente politico parmigiano dell’oltretorrente. Coi rossi e gli sbandati assunse un atteggiamento risoluto, per ricondurli all’ordine. Nell’ottobre del ’21, dopo due anni di distacco per riduzione quadri, e dopo alcuni tentativi di darsi al commercio con l’oriente, Graziani accettò la proposta, fattagli dall’allora Ministro della Guerra, di andare in Libia.

Era dalla vittoria contro i turchi del 1912 che la Libia versava in una situazione perdurante di anarchia. Graziani, destinato a Zuara, ebbe inizialmente funzioni puramente militari, ma quando le operazioni presero un raggio di grande ampiezza, divenne uno dei migliori esecutori della politica interna. Fino al 1929 egli, con il grado di Generale di Brigata, continuò ad esercitare funzioni politico-militari nella progressiva avanzata dapprima verso la Sirtica e poi verso il Fezzan, riuscendo a riconquistare tutta la regione. Nominato Vicegovernatore della Cirenaica tradusse in atto, con mano oltremodo ferma, le direttive impartitegli, riformando su nuove basi il corpo di truppe coloniali, imprimendo maggior vigore alle operazioni, stroncando ogni connivenza con i ribelli. Nel marzo 1934 il Generale Graziani consegnò al nuovo Governatore Italo Balbo una Cirenaica organizzata, pacificata ed etnicamente riordinata.

Tale operazione gli valse, da parte del Ministro delle Colonie, la citazione quale benemerito della Patria nei due rami del Parlamento. Nel frattempo, nel 1932, era stato promosso Generale di Corpo d’Armata per meriti speciali e venne destinato ad Udine. Alla fine del ’34 il Governo decise di liquidare la situazione etiopica e nel febbraio dell’anno successivo, Graziani ricevette l’ordine della sua nuova destinazione, la Somalia. Colà, come Governatore e Comandante supremo delle truppe del fronte Sud, opera brillantemente per la fondazione dell’Impero.

Il 24 maggio 1936 assume la Reggenza del Vicereame d’Etiopia, succedendo a Badoglio, e viene nominato Maresciallo d’Italia. Con vigorose operazioni afferma saldamente il nostro dominio e inizia a compiere quei grandiosi lavori pubblici, che saranno ultimati dal suo successore il Duca d’Aosta e che restano a tutt’oggi monumento delle capacità e della volontà civilizzatrice dell’Italia Fascista.

Nel 1937, durante i festeggiamenti per la nascita dell’Erede al Trono Vittorio Emanuele, Graziani subisce un grave attentato ad Addis Abeba, da cui riesce a salvarsi. Nello stesso anno cede il Vicereame al suo successore, il Duca d’Aosta. Nel 1938 viene creato Marchese di Neghelli.

Il 3 novembre ’39 viene nominato Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito. Graziani si rese subito conto delle manchevolezze che caratterizzavano la situazione militare, parlandone apertamente a Mussolini. Vi erano deficienze in ogni campo: delle “otto milioni di bajonette, ne esistevano solo 1.300.000 e altrettanti fucili e moschetti modello 1891”. La nostra industria bellica era debole, le nostre riserve di materie strategiche e di derrate scarse. “Questo deplorevole stato di cose dipendeva formalmente dal Capo del Governo, che per lunghi anni aveva esercitato le funzioni di Ministro delle tre Forze Armate (R. Eserciro, R. Marina, R. Aeronautica, non della Milizia, ndr); ma la responsabilità oggettiva ricade su Badoglio (Capo di Stato Maggiore Generale, ndr), il quale ricopriva tale incarico fin dal 1926 ed era, per legge, il consigliere militare del Capo del Governo”.

La guerra venne dichiarata il 10 giugno del ’40 al fronte Francese. Le operazioni durarono tre giorni, ed il 24 giugno i francesi sottoscrissero l’armistizio. Ultimata la campagna, Graziani tornò a Roma, e la sera del 28, mentre era nella sua tenuta di Arcinazzo, ricevette una telefonata che gli annunciava la morte incidentale del Governatore e Comandante Superiore in Libia, Maresciallo Balbo, avvenuta a Tobruch, e l’ordine di partire subito per assumerne la successione. Gli ordini erano precisi: invadere l’Egitto, prendere Alessandria e il Canale.

Tuttavia l’offensiva, prevista per il 15 luglio, era impossibile a causa della mancanza dei mezzi più elementari non solo per combattere, ma anche per vivere nel deserto, e così egli ottenne un rinvio; ma il 25 agosto arrivava l’ordine da Mussolini di avanzare senza ulteriore indugio in Egitto. Graziani, dopo le prime sconfitte, chiese di essere esonerato da ogni incarico e lasciò la Libia l’11 febbraio 1941, isolandosi volontariamente dalla vita pubblica.

Con gli avvenimenti del 1943 e la creazione della RSI, accettò di diventare il 24 settembre Ministro e Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Repubblicano. In tali vesti Graziani fece approvare un promemoria in cui si sosteneva l’opportunità che l’Esercito da costituire dovesse essere basato non solo sui volontari, ma anche sulla coscrizione, e costituito da grandi unità da addestrare in Germania; i quadri avrebbero dovuto essere formati tutti di Ufficiali volontari a domanda, evitando comunque ad ogni costo la guerra civile.

Sulla base di tali propositi, furono siglati accordi con il comando supremo germanico, accordi che si concretizzarono il 16 ottobre: i tedeschi si impegnarono ad armare e istruire 4 Divisioni Italiane, di cui una Alpina, e successivamente altre 4; una nona, Divisione corazzata, doveva essere composta con personale Italiano addestrato alla scuola di motorizzazione tedesca.

Tuttavia difficile fu il rapporto tra l’Esercito e la nuova milizia del PFR, Guardia Nazionale Repubblicana, che, contrariamente a ciò che era la MVSN, divenne un’unità di 150.000 uomini completamente autonoma; ad aggiungersi alla già caotica situazione militare vi furono le Brigate Nere, nelle quali furono inquadrati tutti gli iscritti al Partito che non erano ancora alle armi.

Con la sconfitta, la notte tra il 29 e il 30 aprile del 1945 il Maresciallo Graziani si arrese presso il comando del IV Corpo d’Armata americano. Dopo circa un mese di prigionia presso il campo di Cinecittà in Roma, il 12 giugno fu trasferito in aereo ad Algeri come prigioniero di guerra. Il suo periodo di prigionia in Algeria si concluse il 16 febbraio 1946 quando fu trasferito in Italia. Durante il periodo della detenzione a Procida, Graziani scrisse e pubblicò tre volumi: “Ho difeso la patria”, “Africa settentrionale 1940-41”, “Libia redenta”. Graziani fu rimesso in libertà nell’agosto del 1950 e, dopo una breve sosta a Roma, si trasferì ad Affile, nel versante romano della valle dell’Aniene.

Nel 1952 maturò l'idea di prendere parte diretta nella politica portandovi il peso della sua enorme popolarità ed il 15 ottobre chiese la tessera del Movimento Sociale Italiano entrandovi come semplice iscritto. Era tuttavia difficile, con il prestigio che lo circondava, che non divenisse punto di riferimento del partito. Accettò la Presidenza Onoraria del Movimento, insieme con il Comandante Borghese.

Ogni sua partecipazione in pubblico si tramutava in un bagno di folla entusiasta. Nei primi giorni del gennaio del 1954 si svolse a Viareggio il IV congresso nazionale del M.S.I. ed il Maresciallo, in qualità di Presidente Onorario del movimento, inviò un suo messaggio che tracciava quella che sarebbe dovuta essere la linea politica generale da seguire e gli obiettivi su cui puntare al fine di rilanciare il movimento.

Purtroppo il nobile messaggio non ebbe seguito. Profondamente deluso, il Maresciallo, si ritirò definitivamente dalla vita politica. Morì a Roma l’11 gennaio 1955.

Benito Mussolini e Rodolfo Graziani





GALEAZZO CIANO (1903-1944)

I Personaggi del Fascismo

GALEAZZO CIANO (1903-1944)
Il brillante, ambizioso, giovane politico e diplomatico, i cui gravi errori di valutazione saranno forieri di sventura per la Patria, per il Regime e per lui stesso, la cui vita si tramutò d’improvviso da fiaba in tragedia.

Figlio dell'Ammiraglio Costanzo e di Carolina, Galeazzo Ciano di Cortellazzo nacque a Livorno il 18 marzo 1903. Durante la prima guerra mondiale si trasferì con la famiglia a Venezia e poi a Genova, dove conseguì la maturità classica.

Di qui Ciano raggiunse definitivamente Roma nel 1921, in coincidenza con gli impegni politici del padre, e si iscrisse al PNF. Durante gli studi universitari fece pratica di giornalismo presso “Nuovo Paese”, “La Tribuna” e “L'Impero”. In questo periodo scrisse, senza successo, alcuni drammi teatrali. Laureatosi in legge presso l’Università di Roma nel 1925, non mostrò volontà di intraprendere la professione di avvocato, bensì la carriera diplomatica. Ebbe subito successo, iniziando una rapida carriera politica all'interno del Regime. Fu viceconsole a Rio de Janeiro, a Buenos Aires e, dal 1927, a Pechino (come Segretario di legazione).

Nel 1930 sposa Edda, figlia del Duce, divenendo Console a Shangai. Inviato straordinario e Ministro Plenipotenziario in Cina. Tornato in Italia nel giugno del 1933, è tra i componenti della delegazione italiana alla Conferenza economica di Londra. Nello stesso anno diviene Capo dell'ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, curando personalmente la promozione e la vigilanza su stampa, editoria, radio e cinema. Trasformò quindi l'ufficio in Sottosegretariato per la stampa e la propaganda, divenuto nel 1935 Ministero.

Membro del Gran Consiglio del Fascismo dal 1935, partecipò volontario alla guerra d'Etiopia comandando la leggendaria 15° squadriglia aerea da bombardamento, detta “Disperata” in ricordo di una vecchia Squadra d'azione Fascista di Firenze, sostituito nelle funzioni di Ministro dal Sottosegretario Dino Alfieri. Ottenne due medaglie d'argento al valore. Conte di Cortellazzo dal 1936, tornò l'anno successivo a Roma come addetto all'Ambasciata presso la Santa Sede. Dimostratosi sempre più brillante e capace, nel 1936 stesso, a soli 33 anni, fu nominato Ministro degli Esteri; favorevole alle relazioni tra Italia e Germania, rilanciò la politica italiana nella zona danubiano-balcanica, nell'ottica dell’imperialismo mediterraneo.

Con l’avvio della guerra civile spagnola nel 1936, organizzò immediatamente consistenti aiuti e truppe di volontari che avrebbero aiutato valorosamente il fratello spagnolo nel cimento per giungere al trionfo della civiltà sulla barbarie marxista e repubblicana.
Dal 21 al 23 ottobre del 1936, Ciano compì la sua prima visita in Germania; dopo un primo colloquio con il collega tedesco von Neurath, a Berchtesgaden Ciano consegnò a Hitler, con una prassi inusitata in diplomazia, un dossier antitedesco preparato dal ministro degli esteri inglese Anthony Eden per il suo gabinetto e inviato a Roma dall'ambasciatore Dino Grandi, a riprova della volontà italiana di operare una scelta di campo.

Il 22 ottobre, mentre veniva firmato tra Germania e Giappone il patto Anticomintern, Ciano e Neurath concordarono un atteggiamento comune riguardo alla Spagna e agli aiuti ai patrioti Franchisti. Solo in quell’occasione il governo tedesco procedette ufficialmente al riconoscimento dell'Impero Italiano. Pochi giorni dopo, il 1° novembre, Mussolini a Milano annunciava la nascita dell'Asse Roma-Berlino.

Tuttavia, nel momento stesso in cui operava l'accostamento alla Germania, Ciano tentò di controbilanciare la mossa con una spinta della politica Italiana nell'area danubiano-balcanica.

L'11-12 novembre 1936 ebbe luogo a Vienna la prima conferenza dei Ministri degli esteri d'Italia, Austria e Ungheria che contribuì a consolidare i rapporti con quei Paesi. Alla fine del settembre del 1936 fu firmato un accordo Italo-Jugoslavo che segnava la ripresa dei rapporti economici dopo le sanzioni e il 25 marzo 1937 Ciano firmava a Belgrado accordi politici ed economici che ponevano fine, provvisoriamente, alla lunga tensione fra i due Paesi. Gli accordi di Belgrado, inoltre, sembravano isolare la Grecia, saldamente alleata della Gran Bretagna e preludere a una ripresa della tensione italo-inglese, dopo il breve riavvicinamento seguito al gentlemen's agreement, firmato da Ciano e l'ambasciatore britannico a Roma il 2 gennaio 1937, con l'impegno al reciproco rispetto degli interessi mediterranei. L'andamento controverso dei negoziati Italo-Britannici, con il mancato riconoscimento dell'Impero, convinsero Ciano e Mussolini che le demoplutocrazie occidentali potevano accettare solo il linguaggio della forza e dei fatti compiuti e contribuirono a orientare in senso filotedesco la politica italiana.

Il 6 novembre l'Italia aderì, quale membro originario, al patto Anticomintern, legandosi così anche all’Impero Nipponico. Era il sorgere del Tripartito.

Tuttavia in questo periodo, sempre decisamente in ritardo sugli eventi, Ciano manifesta i primi dubbi e le prime oscillazioni che faranno di lui, che era stato l'antesignano dell'Asse e il Gerarca oggettivamente più propenso all'alleanza Italo-Tedesca, un fiero oppositore della guerra voluta fermamente dai Tedeschi. Il 29 ottobre '37 scriveva sul Diario: “Nessuno può accusarmi di ostilità alla politica filotedesca. L'ho inaugurata io. Ma, mi domando, deve la Germania considerarsi una meta, o piuttosto un terreno di manovra?”. In effetti, la politica di avvicinamento nei confronti della Germania era stata intesa da Ciano come strumento di pressione volto a modificare l'atteggiamento delle potenze occidentali e a rafforzare il potere contrattuale dell'Italia Fascista. Ciano si accorgeva ora che l'alleanza con la Germania, da “carta di una manovra” rischiava di trasformarsi in “gabbia funesta”.

Approssimandosi chiaramente l'Anschluss dopo l’assassinio di Dolfuss, amico personale del Duce, Ciano escludeva ogni possibilità di intervento attivo che contrastasse le mire hitleriane, nonostante la profonda amicizia che legava l’Italia all’Austria. Progettava di costruire un nuovo sistema da sostituire al triangolo Roma-Vienna-Budapest, un asse orizzontale Roma-Belgrado-Budapest, più periferico, ma secondo Ciano più sicuro perché garantito dalla caratterizzazione anticomunista del nuovo capo jugoslavo Stojadinovic. Di fronte al fatto compiuto dell'Anschluss, Ciano celebrò l'avvenimento come un fattore di semplificazione nella situazione europea e di stabilità continentale.

In questo clima maturò il primo esplicito progetto di occupazione dell'Albania, chiaramente formulato da Ciano nella relazione inviata a Mussolini il 25 maggio 1938 in occasione del matrimonio di Re Zogu, al quale egli aveva assistito a Tirana. In quell'ampio documento, Ciano espresse la possibilità di cogliere i fermenti filo-Italiani albanesi per intraprendere quella politica espansionistica nei balcani, strettamente legata all’irredentismo dalmata, che avrebbe fatto dell’Italia la potenza mediterranea per eccellenza. Cogliendo l'occasione offerta dal nuovo atto di forza compiuto dalla Germania con l'occupazione di Praga, tra la fine di marzo e gli inizi di aprile del 1939, Ciano organizzò l’annessione del Regno d’Albania, già predisposta fin dall'anno precedente.

Vincendo le iniziali resistenze dello stesso Mussolini, che temeva ripercussioni sfavorevoli in Jugoslavia a favore della Germania, Ciano spedì a Tirana uno schema di trattato che imponeva ufficialmente il Protettorato Italiano, con condizioni di netta limitazione della già precaria sovranità albanese.

Di fronte alla riluttanza di Re Zogu, Ciano e Mussolini fecero presentare un nuovo testo, accompagnandolo con un ultimatum che scadeva il 6 aprile. Il giorno successivo le truppe italiane sbarcarono in Albania e procedettero senza incontrare resistenza. Il Regno d’Albania veniva ufficialmente dichiarato in unione reale e personale col Regno d’Italia e il Re Vittorio Emanuele III succedeva a Re Zogu, nel frattempo fuggito, sul Trono d’Albania.

Ciano aveva sempre considerato questa impresa come suo obiettivo personale e si legò fortemente al Popolo Albanese, col quale volle condividere onori ed oneri. In onore della moglie fece ribattezzare il porto di Santi Quaranta in Porto Edda.Vista però la costante arroganza delle demoplutocrazie occidentali, si risolse col Duce di stipulare un accordo ancor più vincolante con la Germania nazionalsocialista. La cosa maturò durante i colloqui di Milano fra Ciano ed il collega tedesco Ribbentrop del 6 e 7 maggio 1939: era il Patto d’Acciaio, incredibilmente vincolante per l’Italia, rivelatosi un errore fatale.

Allarmato dai messaggi che giungevano dall'ambasciatore Attolico, partì alla volta di Salisburgo, per sincerarsi delle reali intenzioni dell'alleato germanico di fronte all'esplodere della tensione con la Polonia. Fin dal primo incontro con Ribbentrop, Ciano si convinse che la Germania voleva la guerra e che l'avrebbe provocata in ogni modo; lo stesso Hitler confermò a chiare lettere il giorno dopo questi propositi, dando ormai per concluso il patto con l'Unione Sovietica e facendo intendere caduti quindi gli ultimi ostacoli che si frapponevano alla guerra. Dai colloqui di Salisburgo e Berchtesgaden Ciano tornò deciso a impedire a Mussolini di subire la politica di Hitler, ma in nessun caso fu prospettata la denuncia del patto con la Germania.

La decisione di non intervenire subito, a causa delle condizioni disastrose dell'armamento italiano, fu presa rapidamente; ma, per l'influsso che considerazioni di lealtà formale alla parola data avevano presso Mussolini, la decisione fu sempre prospettata come temporanea, secondo un'eventualità già prevista e ammessa da Hitler, e la questione dell'intervento italiano fu strettamente legata all'aiuto economico e militare tedesco, per mettere l'Italia in condizioni di combattere.

La via d'uscita fu trovata nella convulsa giornata del 25 agosto, quando Ciano trasmise all'ambasciatore Attolico una lista incredibilmente sproporzionata di materie prime che l'Italia chiedeva ai tedeschi come condizione per l'intervento.

Il primo settembre 1939, a ostilità ormai avviate, il Consiglio dei Ministri poteva decidere per la “non belligeranza” (formula significativamente usata al posto di “neutralità”) dell'Italia. Ciano in questo periodo si adoperò soprattutto per realizzare un allentamento della tensione con Francia e Gran Bretagna, che si rivelò propizio almeno per un'intensificazione degli scambi commerciali.

Il nuovo gabinetto formato nell'ottobre 1939 fece emergere come Ministri uomini vicini alla posizione di Ciano. La scelta della non belligeranza fu confermata anche dal Gran Consiglio del Fascismo il 7 dicembre 1939. In quell’occasione, Ciano sviluppò le argomentazioni poi ripetute pubblicamente il 16 dicembre del 1939 alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni. In questo discorso, che costituì il documento più rilevante di questa fase della politica estera italiana, Ciano ricostruì le motivazioni che avevano indotto alla scelta compiuta, non tacendo le inadempienze tedesche, ma presentò la non belligeranza come “strettamente conforme all'intenzione di localizzare il conflitto rigidamente derivante dai Patti nonché dagli impegni collaterali esistenti fra l'Italia e la Germania”; inserì punte antisovietiche e un tono maggiormente disteso verso le potenze occidentali.

Sul piano pratico, non veniva presa nessun'altra scelta che non fosse quella del proseguimento della non belligeranza connessa sempre con la riaffermata disponibilità a battersi a fianco dell'alleato al momento più opportuno. La decisione dell'intervento maturò nel marzo 1940 e fu definita negli incontri con Ribbentrop a Roma e con Hitler al Brennero ai quali Ciano fu presente.

Col passare delle settimane e col susseguirsi dei successi tedeschi, sembrò convincersi della inevitabilità della vittoria del Reich. Accettati passivamente i termini della soluzione armistiziale con la Francia imposti dai tedeschi, Ciano si dedicò alla preparazione dell’offensiva Italiana in Grecia, trascurando colpevolmente l’Impero e il “Piano Mediterraneo” proposto dal Duca d’Aosta, e promuovendo una guerra parallela a quella svolta dall’alleato germanico.

Nella riunione del 15 ottobre '40 Ciano, insieme a Mussolini e ai Generali Badoglio, Soddu, Jacomoni, Roatta e Visconti Prasca predispose i particolari dell’offensiva. L'operazione, presto fallita e tramutatasi in disfatta, segnò, con il successivo intervento risolutore delle forze armate tedesche, la fine di ogni illusione di guerra parallela e l'inizio della definitiva e consapevole subalternità Italiana alla guerra hitleriana.

Tra il marzo e l'aprile del 1941, Ciano accettò con favore la sistemazione balcanica predisposta dai tedeschi, oggettivamente per noi molto positiva. Essa riservava all’Italia: l’annessione di gran parte della Slovenia, la redenzione di buona parte della Dalmazia, la formazione di un Regno Croato soggetto all’influenza Italiana con l’insediamento al Trono del Principe Sabaudo Aimone d’Aosta (che assunse il nome di Tomislao II), la ricostituzione del Regno del Montenegro pure sotto influenza Italiana, l’ampliamento delle frontiere del Regno d’Albania a danno della Grecia, la riduzione della Jugoslavia praticamente alla sola Serbia.

Sul fronte occidentale si fece strada il sogno di ritornare alla Patria il Nizzardo, la Savoia e la Corsica, già parzialmente occupate. In questa fase Ciano si adoperò, senza successo, per coinvolgere la Spagna Franchista nella guerra.

Durante il colloquio veneziano con Ribbentrop del 15 giugno fu chiaramente edotto del peggioramento delle relazioni tedesco-sovietiche e della ormai probabile e prossima offensiva contro la tirannide bolscevica; nonostante ciò, la notizia della nuova gigantesca operazione militare tedesca colse impreparato il Governo Italiano.

Ciano non prese parte alla successiva definizione della politica estera nel nuovo quadro determinato dalla campagna di Russia, in quanto dalla fine di luglio alla seconda decade di settembre si assentò dal Ministero per motivi di salute. Pur partecipando a nuovi colloqui di aggiornamento sulla situazione militare con i dirigenti tedeschi, la sua attività politica e diplomatica apparve, nel corso di tutto il 1942, molto ridotta. La subalternità alla politica tedesca aveva posto il Governo Fascista in una situazione senza vie d'uscita, aggravata dalle nuove sconfitte militari che cominciavano ormai a coinvolgere tutte le forze dell'Asse e a rendere quanto mai prossima e prevedibile la prospettiva di uno sbarco angloamericano nella penisola.

Nel febbraio 1943, all'interno di una situazione militare ormai insostenibile, si assisteva ad un nuovo cambio di gabinetto ed il sesto Governo Mussolini poneva al dicastero degli Esteri il Duce stesso. Ciano chiedeva e otteneva la nomina ad Ambasciatore presso il Vaticano, che gli consentiva di restare in contatto con la vita politica della capitale e di avere rapporti con i rappresentanti delle potenze occidentali (“un posto di riposo, che però può lasciare adito a molte possibilità per l'avvenire”, annotava nel Diario).

Dopo lo sbarco angloamericano in Sicilia, fu informato della volontà della maggioranza dei membri del Gran Consiglio di sfiduciare Mussolini. Il pomeriggio del 23 luglio 1943 aderì all'iniziativa e collaborò con Grandi e Bottai alla stesura definitiva del testo. Pensava allora a una possibile lista di successione che comprendesse i tre, da rimettere, secondo le procedure costituzionali, al Re. Nella seduta del 25 luglio, Ciano intervenne al fianco di Grandi, senza polemizzare con Mussolini, ma svolgendo argomentazioni di politica estera che retrospettivamente ricostruivano le inadempienze dei tedeschi nei confronti delle clausole dell'alleanza, per vincere la riluttanza di molti altri ad impugnarla. Il problema è che queste accuse alla politica estera passata dell’Italia non potevano non apparire come autoaccuse, in quanto gravi responsabilità per come erano state gestite le cose l’aveva proprio lui, Ciano. L'ordine del giorno Grandi fu comunque approvato con 19 voti favorevoli, fra cui quello di Ciano.

Colto alla sprovvista dal colpo di stato badogliano, tentò senza successo di ottenere il passaporto per la Spagna, dove gli era stato assicurato asilo politico; spaventato si risolse a chiedere, contraddittoriamente, l'aiuto ai tedeschi per l'espatrio. Il 27 agosto Ciano e la famiglia furono fatti fuggire dal servizio segreto tedesco e trasportati in Germania.

Dopo l'armistizio di Cassibile e la successiva costituzione della RSI, il nome di Ciano fu incluso nella lista dei traditori che i repubblichini volevano giustiziare per il voto del Gran consiglio; anche i tedeschi fecero pressione in tal senso.
Nonostante il miglioramento dei rapporti tra Ciano e Mussolini, grazie anche all'intercessione di Edda, il 19 ottobre Ciano fu trasferito da Monaco a Verona, dove fu consegnato alla polizia della RSI e rinchiuso nel carcere degli Scalzi.

Il processo, svoltosi in condizioni di assoluta illegalità e arbitrio giuridico, si concluse con la sua condanna a morte.

Dopo un vano tentativo a opera della moglie di scambiare la sua vita con la consegna dei suoi Diari, al cui possesso i nazisti tenevano molto per evitare il contraccolpo sul piano propagandistico che la loro pubblicazione avrebbe probabilmente suscitato, la mattina dell'11 gennaio 1944 Ciano veniva fucilato alla schiena nel poligono di tiro della fortezza di San Procolo, a Verona.

Galeazzo Ciano ricordato da Giuseppe Bottai





(1903-1944)



























lunedì 1 febbraio 2010

GIUSEPPE BOTTAI (1895-1959)

I Personaggi del Fascismo



GIUSEPPE BOTTAI (1895-1959)

Il fascista intellettuale che tentò di tradurre nella pratica l'Ideale.

Giuseppe Bottai nacque il 3 settembre 1895 a Roma da una famiglia di origine toscana. Il padre, Luigi, è un commerciante di vini; la madre è di origine spezzina e si chiama Elena. Il padre appartiene a una corrente filosofica agnostica, atea e repubblicana. Infatti viene battezzato segretamente da una balia e riuscirà a fare la Prima Comunione solo da adulto.

Oppresso dalla filosofia negativa del padre, si avvicina al Cattolicesimo e agli ideali Risorgimentali Monarchici. Superati brillantemente gli studi liceali al Torquato Tasso di Roma, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza e si laurea. Nel 1915 parte volontario per la guerra scegliendo il mitico reparto degli Arditi. Pluridecorato, egli è già un intellettuale, “un belligerante che vuol vivere le radiose giornate di maggio”.

Al ritorno frequentando proprio questo ambiente entra nella corrente di Marinetti, collaborando e scrivendo qualche articolo su “Roma futurista”.

Nel 1919 incontrando Mussolini per la prima volta ne ricava una forte impressione, iniziando a collaborare al “Popolo d’Italia”. Nel suo diario, pubblicato nel 1949, scriverà: “...mi colpì la singolarità dei suoi modi.

Non so quale grandezza, non fisica soltanto di quelle membra; una vitalità non contenuta, che imprimeva ai suoi gesti più semplici e ordinari...un'ampiezza smisurata. (...) Mi incontrai e la mia vita fu decisa con quella di una intera generazione”. Intellettuale, poeta, redattore ormai affermato del “Popolo d’Italia”, reduce, ex Ardito, è tra i fondatori del Fascio Romano.

Grande organizzatore, partecipa alla Marcia su Roma, capeggiando a Tivoli le colonne formate nel Lazio, nelle Marche e in Abruzzo; durante la Rivoluzione si scontrò con notevole audacia contro i rossi del Quartiere San Lorenzo.

Quando Mussolini scende a Roma per incontrarsi con il Re, Bottai gli è accanto e si fa portavoce della volontà normalizzatrice e legalizzatrice del Fascismo. Da questo momento egli osteggerà in tutti i modi gli estremisti alla Farinacci, tentando di conquistare al Fascismo anche le simpatie dei liberali.

Zelante, coltissimo ed intelligentissimo, contribuirà grandemente a costruire l’apparato ideologico del Partito e del Governo, con tante idee e iniziative. Alle elezioni politiche del ’24, come già del ’21, è il candidato numero uno del Fascismo nel “blocco” che si presenta a Roma, ma la sua elezione è invalidata a causa dell’età (non ha ancora i 30 anni richiesti).

Bottai è tra i sostenitori della grande coalizione con i popolari e dei patti di pacificazione con i socialisti: “(…) la riforma del Fascismo, è una necessità doverosa ed urgente per tutti noi, ed è quella di inserire il Fascismo (...) nel corso della concreta realtà storica italiana".

Grande intellettuale, inizia la sua opera di definizione dell’Ideale Fascista, raccogliendo tutte le aspettative, gli apporti, i contributi, in collaborazione col Duce, con Gentile, con Grandi e con tutti i principali fondatori del Fascismo. Si deve in gran parte a lui la definizione dell'identità e della prospettiva ideologica e la formazione di una nuova classe dirigente.

Bottai mostra la volontà di costruire un Partito in qualche modo Aristocratico, che rappresenti le migliori istanze d’Italia, aperto a tutti i contributi della società e degli individui. Già nel 1923 crea con Massimo Rocca una corrente propria che ha un suo organo di stampa: “Critica Fascista”. La volontà è chiara: una critica al Fascismo per costruire il Fascismo. Nel 1924 in una conferenza cerca di definire a cosa mira con queste parole: “movimento di reazione critica alla mentalità ed ai principii della rivoluzione francese”. Cita Hegel, Sorel, Oriani, Corradini e lo “Stato etico” di Gentile. Bottai voleva insomma organizzare uno stato nuovo, duttile e moderno. Diede subito spazio ad intellettuali anche di estrazione opposta alla sua, quali ad esempio Don Romolo Murri ed a giovani come Guido Carli e Valerio Zincone, animatori dei nobilissimi Littoriali della Cultura e dell'Arte di cui proprio Bottai divenne patrocinatore, giovani ai quali egli sempre sarebbe stato attento nel progetto del loro inserimento nella realtà del Partito.

Tuttavia, accusato dal Direttorio del Partito di essere “uscito di carreggiata”, viene sospeso con Rocca dal Partito (maggio 1924). Mentre il fatto per Rocca significherà un’eclissi definitiva, per Bottai diventa invece motivo di sfida, tanto che egli rientra subito nel Partito con più seguito di prima. E dal suo genio politico e sociale prende forma il Corporativismo, ideale sociale del Fascismo. In esso Bottai vede la possibilità di una mediazione dei conflitti di classe e una pacificazione sociale, realizzando in pratica la teoria Fascista; Mussolini, entusiasta di ciò, lo considererà d’ora in poi primo intellettuale del Regime.

Eletto Deputato, entrato nel Gran Consiglio del Fascismo, nominato prima Sottosegretario (1926-29) e poi Ministro (1929-32) delle Corporazioni, attua l'ordinamento Corporativo dello Stato Fascista e redige la Carta del Lavoro (21 aprile 1927), documenti basilari dell’Idea Fascista.

Durante l’eccelsa costruzione del sistema Corporativo Nazionale, Bottai diventa nel 1930 Professore di politica ed economia corporativa a Pisa, fondando e poi dirigendo la Scuola di perfezionamento di scienze corporative. Nel 1931 contribuisce alla creazione dell’Istituto di Mistica Fascista, con sede a Milano, il cui scopo fu la sempre più affinata elaborazione dell'ideologia Fascista. Tuttavia l’Istituto non ebbe mai il “decollo” che Bottai si attendeva. Promosse inoltre l'esposizione E42 e la costruzione del quartiere EUR. Divenne quindi Presidente dell’Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale (INFPS) (1932-35), sostituendo poi De Vecchi il 22 novembre 1936 al Ministero dell'Educazione Nazionale, dove rimase fino al 5 febbraio 1943.

In tal Ministero profuse attivismo e ardore, con l’eccellente riforma della scuola media inferiore sulla scia di ciò che già s’era compiuto con Gentile, compiendo una corretta e lodevole Fascistizzazione della scuola intesa in senso etico e sociale. Tuttavia non reagì alle leggi razziali (1938), penalizzanti per diversi studenti ebrei, attenendosi semplicemente alle direttive di governo. Al 1939 risale la presentazione della Carta della Scuola.

Nel 1940 fondò la rivista “Primato”, che potè vantare nelle sue fila il meglio della cultura dell'epoca: Nicola Abbagnano, Michelangelo Antonioni, Giulio Carlo Argan, Dino Buzzati, Carlo Emilio Gadda, Leo Longanesi, Eugenio Montale, Indro Montanelli, Cesare Pavese, Giaime Pintor, Vasco Pratolini, Salvatore Quasimodo, Luigi Salvatorelli, Emilio Sereni, Giuseppe Ungaretti, per citare solo i più famosi.

Ma con la guerra i rapporti con Mussolini precipitarono, in quanto Bottai accusò espressamente il Duce di esser diventato un subalterno di Hitler. Destituito dal suo Ministero nel 1943, votò la sfiducia a Mussolini il 25 luglio, rifugiandosi subito in Vaticano. Condannato a morte in contumacia dal Tribunale di Verona (1944), reagì arruolandosi volontario nella Legione Straniera e combattendo valorosamente i tedeschi.

Tornato in Italia dopo l'amnistia, fondò nel 1953 la rivista di critica politica “A.B.C.”, molto tagliente nei confronti dei vizi e delle corruzioni già evidenti nello stato antifascista appena sorto. Scrisse: “Gli intellettuali italiani avrebbero potuto portare un contributo all'educazione politica dei loro compatrioti... visto che non lo fanno loro, bisognerà che un giorno un politico, che con essi abbia avuto qualche commercio, dica dell'incapacità della società letteraria, o più genericamente artistica, italiana a fondersi nella più ampia società civile, a circolarvi con disinvoltura, a esercitarvi il suo officio e, quasi per istinto di difesa, del suo gettarsi in politica agli estremi: talché ai fascistissimi di ieri corrispondono i democraticissimi di oggi. Con la stessa mancanza di serietà”. Tra i suoi interessantissimi scritti: “Vent'anni e un giorno” (1949); “Diario 1935 – 1945”, citato sovente come una delle testimonianze storiche più importanti dell’epoca. Morì a Roma nel 1959.

(1895-1959)


ACHILLE STARACE (1889-1945)

I Personaggi del Fascismo


ACHILLE STARACE (1889-1945)

Il gerarca gran cerimoniere del regime, meritevole per la promozione di un corretto "modus vivendi", a fronte però di una grave esplosione retorica.

Achille Starace nacque a Sannicola di Gallipoli in Provincia di Lecce il 18 agosto 1889 da un’agiata famiglia di commercianti di vino ed olio. Studente non particolarmente brillante, nel 1905 si reca a Venezia per frequentare l’Istituto di Ragionieria. Quivi si sposa appena ventenne (1909) con Ines Massari, ponendo però la residenza di famiglia a Gallipoli. Frequentato il Corso Allievi Ufficiali nei Bersaglieri (1910), si congeda prima della guerra di Libia.

Sempre in Veneto si dedica, come il padre, al commercio di vini, ma allo scoppio della Grande Guerra conosce e aderisce all’interventismo Mussoliniano e si arruola volontario. Combatté valorosamente distinguendosi subito per molti atti di coraggio e ottenendo una medaglia d’argento al valor militare, quattro di bronzo e diverse croci di guerra. Viene così promosso sul campo a Tenente e si congeda come Capitano.

Nel dopoguerra, divenuto Mussoliniano di ferro, è posto a capo dello Squadrismo tridentino, conducendo una vasta campagna propagandistica coadiuvato da Farinacci. Presidente del congresso di Bologna che nel gennaio 1922 vide la nascita della Confederazione delle Corporazioni Sindacali Fasciste, partecipò alla Marcia su Roma. Fu Commissario Politico del Gran Consiglio del Fascismo nel 1923.

Nel 1924 viene eletto Deputato, nel 1926 è alla Vicesegreteria del Partito e diventa Luogotenente Generale della Milizia, entrando nel Gran Consiglio del Fascismo.

Giunge alla ribalta negli anni ’30 divenendo Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista (1931-1939), promovendo una rinnovellata importanza politica della carica. In tale veste si fa carico in prima persona dell’inquadramento delle masse e della diffusione dello spirito e dell’etica Fascista. In quegli anni fu uno dei Gerarchi più importanti del Regno e fu il principale organizzatore delle adunate oceaniche e delle grandi manifestazioni del Regime.

Sua l’introduzione del cosiddetto “sabato Fascista”, giorno dedicato alle manifestazioni pubbliche del Regime e di tutto il Popolo d’Italia, unito nel Fascismo, nonché all’attività sportiva ed alla ginnastica (sabato ginnico). ‘E inoltre lui il cerimoniere delle manifestazioni e delle adunate, codificandone minuziosamente l’etichetta.

‘E ancora lui l’inventore e il realizzatore di motti, saluti e di tutto uno stile che diventerà tipico e caratterizzante (dal saluto al Duce perfettamente codificato, al “voi” Fascista, dalle parate dell’Impero alla divisa d’orbace). Sotto la sua guida il Partito divenne un organo d’importanza sempre maggiore nella vita pubblica.

Questa impostazione ebbe da un lato molti grandi meriti, dall’altro alcuni difetti oggettivi. Tra i grandi meriti si annoverano: la difesa della lingua e della cultura Italiana con l’importantissima lotta per la purezza della lingua, contro le parole straniere od errate; la diffusione, anche con l’esempio, delle corrette pratiche igienico-sanitarie comprensive della promozione sportiva; l’istituzione delle Colonie marine e montane nonché delle Scuole rurali per i ragazzi, con il famoso “cambio d’aria” che tanta salute portò in ispecie alle popolazioni delle regioni povere.

Tra i difetti oggettivi di quest’impostazione si trova invece un notevole eccesso di vuota retorica e di demagogia, a fronte di una scarsa reale diffusione dell’etica Fascista.

Con lo scoppio della Guerra d’Etiopia s’arruola volontario ed è posto al comando della mitica colonna celere, di cui lascerà scritte le memorie nel celeberrimo libro “La Marcia su Gondar”. Ottiene una nuova medaglia d'argento al valor militare.

Favorevole alle leggi razziali (1938), si allinea senza discutere all’alleanza con la Germania. Il 31 ottobre 1939 Starace viene sostituito da Muti alla Segreteria del Partito e diventa Comandante e Capo di Stato Maggiore della MVSN. Con la guerra di Grecia dell'ottobre del 40 è in prima linea al comando della Milizia, ma, dopo numerose sconfitte, rassegna le dimissioni.

Si ritira quindi dalla vita pubblica, rinunciando a tutte le cariche e conducendo vita schiva e spartana. Con l’avvento della RSI, si trasferisce a Milano, disponibile ad un eventuale chiamata del Duce. Tuttavia i tedeschi e gli stessi Repubblichini non si fidano di lui e lo confinano a Lumezzane, nel Bresciano, dal giugno al settembre del 1944, quando torna nel suo appartamento milanese.

Il 28 aprile 1945, tre giorni dopo la fuga di Mussolini da Milano, mentre in tuta da ginnastica fa la solita corsa mattutina in strada, assolutamente ignaro della sorte del Capo, viene apostrofato da un gruppo di uomini, che quasi scherzando gli urlano “dove vai Starace?”; al che egli risponde “vado a prendere un caffè”. Ma purtroppo si tratta di banditaglie partigiane, che lo rapiscono trascinandolo in una scuola vicina per organizzargli un processo farsa e assassinarlo barbaramente e altrettanto barbaramente condurlo allo scempio di Piazzale Loreto.


STARACE IL MASTINO DELLA RIVOLUZIONE

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STARACE IL MASTINO DELLA RIVOLUZIONE

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(1889-1945)