giovedì 5 novembre 2009

ROBERTO FARINACCI (1892-1945)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO


ROBERTO FARINACCI (1892-1945)

Il Fascista “selvaggio”, capace di eroismi come di grotteschi fanatismi; di azioni lodevoli come di azioni sciagurate. Curiosamente formatosi nella socialdemocrazia di Bissolati, divenne l'intransigente ammiratore del nazionalsocialismo tedesco, contribuendo gravemente al triste tramonto del Regime.

Roberto Farinacci nacque ad Isernia il 16 ottobre del 1892, da famiglia d’origine campana. Il padre, Commissario di Pubblica Sicurezza, venne nel 1900 trasferito nel nord: tutta la famiglia si spostò dapprima momentaneamente a Tortona, nell’Alessandrino, e quindi in via definitiva a Cremona.

Il giovane Farinacci lasciò presto la scuola per cercare un lavoro, che trovò all'età di 17 anni, nel 1909, come dipendente delle ferrovie di Cremona, con la mansione di telegrafista ferroviario; il lavoro gli piacque assai, tanto che volle continuare a svolgerlo fino al 1921, quando già aveva iniziato una vivace carriera politico-giornalistica. Negli anni ’10 inizia a seguire le vicende politiche nazionali, interessandosi in particolare al Partito Socialista.

Si avvicina così al concittadino cremonese Bissolati, che, espulso dal PSI con Bonomi in seguito al congresso di Reggio Emilia del 1912 (al quale aveva avuto successo Mussolini), aveva dato vita al Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI), divenendo antesignano della socialdemocrazia dei futuri Partito Socialista Unitario (PSU) e Partito SocialDemocratico Italiano (PSDI). Chiamato come collaboratore al giornale di Bissolati “L'Eco del popolo”, si segnala con articoli di un certo rilievo a favore della Guerra di Libia. Sotto la spinta del suo mentore si lega alla massoneria del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Nel frattempo, ripresi gli studi, riesce a conseguire brillantemente la licenza liceale e si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza di Modena, dove si laureerà, per cause belliche solo nel 1923 in una sessione speciale per ex combattenti, con il celebre giurista Prof. Alessandro Groppali.

Occupatosi della riorganizzazione del sindacato contadino socialista, inizia a mostrare insofferenza nei confronti dei socialisti riformisti e a collaborare volontariamente con “Il Popolo d'Italia” di Benito Mussolini. Allo scoppio della Grande Guerra si dichiara interventista, contrariamente alla maggior parte dei compagni riformisti, ma non di Bissolati, dichiaratosi anch’egli per l’intervento. La rottura con i socialdemocratici è però vicina e si consuma definitivamente dopo un discorso violentemente anti-irredentista che il vecchio Bissolati tenne, tra le proteste, a Milano. Col 24 Maggio del ’15 parte volontario e partecipa per alcuni mesi ai combattimenti, animando dal fronte il settimanale cremonese “La Squilla”. Ottiene tra l’altro una croce al merito.

Con la Vittoria, rotto ogni legame col gruppo socialista riformista di Bissolati e con la massoneria, diventa seguace di Benito Mussolini e con lui fonda nel 1919 i Fasci di Combattimento; l’11 aprile dello stesso anno fonda il Fascio di combattimento di Cremona, cui da una connotazione intransigente, imperiosa e poco diplomatica, tollerando, se non addirittura incoraggiando, la veemenza squadrista. Lo squadrismo, del resto, ben si addiceva al carattere sanguigno di Farinacci, che interpretava la politica in modo “molto fisico e poco spirituale”. Fu così che la sua figura venne sempre più identificata, tanto dai Fascisti quanto dagli oppositori, come “l’inurbano fornitore di manganelli e olio di ricino”.

I suoi modi in effetti erano sempre molto schietti: nelle sue lettere arrivava addirittura ad offendere e minacciare lo stesso Duce!

Nel 1921 viene eletto Deputato a soli 29 anni: l’elezione viene così annullata per la giovane età. Nello stesso anno è con Dino Grandi e Italo Balbo nella ferma opposizione al cosiddetto patto di pacificazione con i socialisti promosso da Mussolini allo scopo di stemperare gli animi. Intanto opera instancabilmente, insieme ad Achille Starace, per una massiccia campagna di propaganda Fascista in diverse regioni Italiane, tra cui la Venezia Tridentina. Con l’approssimarsi della Rivoluzione diviene Console Generale della Milizia. Nel 1922 è tra gli organizzatori della Marcia su Roma e prova a rinviare la seconda scelta pacificatrice e normalizzatrice di Mussolini, sollecitata dalla Corona, in nome di una “seconda ondata di forza” del Fascismo. Tenta pertanto di ostacolare la manovra, ed anzi contesta la stessa creazione della Milizia, nella quale sarebbero dovuti confluire anche i "suoi" squadristi: Mussolini gli inviò allora il Quadrumviro Emilio De Bono che, con in mano un mandato di cattura a lui intestato, seppe essere molto persuasivo.

Era nel frattempo divenuto Direttore del quotidiano Cremona nuova, che nel 1929 diverrà Il Regime Fascista ed è Segretario del Fascio locale sino al 1929. Dal carattere energico e permaloso, affronta in questo periodi diversi duelli, tra cui il più faticoso risulta quello del 28 settembre 1924 col Principe Valerio Pignatelli, in cui patisce una ferita seria.

E’ lui ad assumere la difesa in giudizio di Amerigo Dumini nel processo per l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, ottenendone l’assoluzione. Membro del Gran consiglio del Fascismo, nel febbraio 1925 diviene Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista ma resta in carica solo 13 mesi a causa di notevoli divergenze con Mussolini e il Governo, anche riguardo alle funzioni della sua carica. I suoi modi riuscirono anche a provocare uno stallo di diversi mesi nel lavoro diplomatico che il Regime stava intessendo con la Chiesa, che sarebbe stato coronato dal Concordato del 1929.

Alla fine degli anni venti è al centro di una tumultuosa vicenda giudiziaria, denunciando, tramite l’ex Federale di Milano Carlo Maria Maggi, poi espulso dal partito, un presunto intrigo politico, con risvolti economici, perpetrato nel milanese dal Podestà Ernesto Belloni, dimessosi nel 1928 e dal Federale Mario Giampaoli, implicato nel gioco d’azzardo. Farinacci arriva ad accusare Giampaoli di tentato omicidio nei suoi confronti: il Giampaoli viene espulso dal partito nonché citato in giudizio e condannato in base a prove schiaccianti nel 1930.

Dopo tale esperienza si isolò per qualche anno dalla vita politica, dedicandosi alla professione forense e giornalistica raggiungendo grandi risultati: si consideri che il suo giornale “Il Regime Fascista”, a diffusione limitata all'Italia settentrionale, arrivò a vendere più copie del stesso “Popolo d'Italia”. Dalle colonne del suo quotidiano non lesinò attacchi ad alcuno; memorabile resta il suo violento attacco ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce e organizzatore delle Battaglie del Grano e del Rimboschimento, accusato, in modo dimostratosi poi del tutto infondato, di aver ricevuto finanziamenti occulti.

Reintegrato nel 1935 nel Gran Consiglio del Fascismo, allo scoppio della Guerra d’Etiopia parte volontario nella Milizia e si segnala per incontenibile audacia ed ardimento. In guerra “il selvaggio Farinacci”, com'era affettuosamente chiamato dai suoi fedelissimi, si ritrovò con i bombardieri di Galeazzo Ciano, nuovamente insieme a Starace. Conquistò sul campo il grado di Generale. Rimase mutilato perdendo la mano destra in un banale incidente di campo. Rimpatriato, devolse in beneficienza il vitalizio spettantegli.

L'esperienza africana gli valse una rivalutazione soprattutto sotto il profilo militare. Dopo il ritorno trionfale è tra i sostenitori dell’intervento armato per dirimere la questione spagnola nonché della politica di costante avvicinamento alla Germania nazionalsocialista. Inviato come osservatore militare in Spagna durante la guerra civile spagnola inviò importanti e lucide relazioni militari. Ammiratore del nazismo e di Hitler preme per l’introduzione delle leggi razziali in Italia e per una svolta razzista e antisemita del Governo. Strinse stretta amicizia con alcuni gerarchi del nazismo, come Goebbels, avvicinandosi sempre più alle posizioni della dittatura tedesca.

Nel 1939 il Re lo nomina Ministro di Stato e Alto Dignitario della Corona. Contemporaneamente istituisce il “Premio Cremona”, destinato a tutti gli artisti Italiani. Scoppiata la guerra, Farinacci si fa strenuo sostenitore, presso il Re e presso il Governo, dell’assoluta necessità dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania. Violentemente contrario alla non belligeranza del 1939, accese una infuocata polemica dalle colonne del suo giornale, talché si dovette spegnere con sequestri, controlli di polizia e faticosissimi richiami all'ordine. Quando poi, nel 1940, la guerra fu alfine dichiarata, Farinacci si diede al minuzioso controllo di potenziali traditori, doppiogiochisti e spie, rasentando sovente il grottesco.

Considerato ormai anche dal Duce un fanatico, fu inviato nel 1941 in Albania quale ispettore governativo delle operazioni belliche. Qui criticò violentemente Badoglio, provocandene l’ira e le dimissioni da Capo di Stato Maggiore.

Tornato in Patria fu allontanato dalla vita pubblica. Informato del possibile cambio di Governo già nel giugno del 1943 forse dallo stesso Grandi, decise di discuterne col Re, col Duce e financo con Hitler, affinché si trovasse una soluzione; tuttavia nessuno dei tre gli diede udienza. Il 25 luglio 1943 criticò l’ordine del giorno Grandi e presentò una sua mozione, votata solo da lui stesso, dal contenuto piuttosto confuso. In essa si chiedeva al Re di attuare una netta “svolta filo-tedesca”, anche con un nuovo Presidente del Consiglio. La stessa sera si rifugia nell'ambasciata tedesca ed il giorno successivo si trasferisce a Monaco.

Torna a Cremona il 22 Settembre 1943, tentando di riprendere il controllo del suo giornale. Mal sopportando l’ingerenza tedesca, si ribella apertamente a questi; viene perciò allontanato e privato di ogni carica e durante la R.S.I. è completamente estromesso dalla vita politica. Insediatosi a Milano presso la Marchesa Medici del Vascello, forse l’unica donna di rilievo della sua vita, il 27 aprile 1945 decide di allontanarsi verso la Valtellina.

Episodio curioso narrato da testimoni oculari, Farinacci chiede all’autista di sedersi dietro e di far guidare lui, benché privo di una mano; a Beverate, frazione di Brivio, trovatosi innanzi a un posto di blocco partigiano, decide di sfondarlo a tutta velocità, ma l'auto viene fermata da una raffica di mitra: l’autista muore sul colpo, la Marchesa Medici viene ferita mortalmente (morirà dieci giorni dopo in ospedale), Farinacci, ironia della sorte, si salva miracolosamente.

Il mattino del giorno dopo, 28 aprile 1945, dopo aver passato la notte in una villa di Merate, subisce un processo sommario partigiano e viene fucilato barbaramente presso il municipio di Vimercate, nel Milanese.

(1892-1945)







martedì 3 novembre 2009

CESARE MARIA DE VECCHI (1884-1959)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO


CESARE MARIA DE VECCHI (1884-1959)

Il Quadrumviro Aristocratico e Cattolico. Governatore di ferro nelle Colonie e grande uomo d’azione; rimarrà sempre legatissimo alla Chiesa, che lo proteggerà nell’ora del periglio.


Cesare Maria De Vecchi nacque il 14 novembre 1884 a Casale Monferrato, in Provincia di Alessandria. Il padre Luigi è un notaio; la madre si chiama Teodolinda Buzzoni. Dopo aver frequentato il Liceo, si laurea in Giurisprudenza(1906) e, poco dopo, in Lettere e Filosofia (1908). Nel 1907 si sposa con Onorina Buggino e intraprende la professione di avvocato, ponendo la sua residenza a Novara sino al 1910 e quindi a Torino dove rileva uno studio di avvocato.

Allo scoppio della Grande Guerra nel 1914 decide di far valere il proprio diritto di diventare ufficiale che aveva acquisito nel 1904 surrogando il fratello Giovanni nel servizio militare e quale volontario di un anno diventando sergente il 24 Marzo 1905 nel 1o Reggimento Artiglieria da Fortezza. Combatte per tutto il quadriennio, ottenendo tre medaglie d’argento, due medaglie di bronzo e altre onorificenze minori e congedato definitivamente il 5 Marzo 1919 con il grado di Capitano.

Nel dopoguerra si lega a Mussolini, aderisce ai Fasci di combattimento (1919). Contribuisce in modo determinante alla strutturazione dell’apparato ideologico e sociale del PNF, teorizzando quell’unione di tutti i ceti e le istanze nazionali (appunto i fasci) per il bene supremo della Patria. Nel 1921 è, con Balbo e De Bono, Comandante Generale della Milizia; vivace organizzatore dello squadrismo piemontese, alla vigilia della Marcia su Roma viene nominato Quadrumviro della Marcia su Roma.

Col trionfo della Rivoluzione è subito membro del Gran Consiglio del Fascismo e partecipa al primo Governo Mussolini quale Sottosegretario per l'Assistenza militare e le pensioni di guerra e dall’8 marzo del 1923 quale Sottosegretario alle Finanze.

Il 3 maggio del 1923 si dimette da sottosegretario per contrasti con Mussolini e alla fine del 1923 viene nominato Governatore della Somalia e in quella posizione vi rimane per il periodo 1923-1928. Il 15 Ottobre 1925 diventa altresì Senatore del Regno. Durante il suo mandato coloniale amministra con mano ferma la Somalia, ponendo in atto notevoli operazioni di polizia, che fruttano tra l’altro l’annessione dei Protettorati Sultanali di Obbia e Migiurtinia. La sua durezza viene talora criticata, ma alle proteste rispose già nel suo “saluto ai Somali”: “Io sono il rappresentante del grande capo Mussolini e sono qui per eseguire i suoi ordini. So governare, perché ho governato e ho la mano dura. Non voglio commenti. Ciò che faccio, faccio bene. Questa Colonia non è che una tappa delle vie Imperiali che l’Italia si prepara a raggiungere”. Oltre all’azione militare, De Vecchi si impegna per la promozione e la crescita dell’agricoltura locale, in particolare col potenziamento della stazione agricola sperimentale di Genale e la messa a cultura di oltre 20000 ettari divisi in numerose concessioni. Grazie a questa attività si assiste ad un grande incremento della produzione cotone, della canna da zucchero, di banane. Per sfruttare al massimo la vocazione agricola della Somalia si iniziano ad impiegare tecniche moderne di aridocoltura che permettono di sottrarre terre alla desertificazione.

Allo scadere del suo mandato in Colonia, nel 1928, Presidente della Cassa di Risparmio di Torino carica che lascerà nel 1929 con la sua nomina ad Ambasciatore d’Italia presso il Vaticano. Egli ricopre la carica fino al 1935, anno in cui, alla vigilia del conflitto con l'Etiopia, è nominato ministro dell'Educazione Nazionale (24 gennaio 1935-15 novembre 1936), con il preciso mandato di perfezionare la fascistizzazione della scuola e dell'università, affinché marcino compatte con le falangi del Regime. Tra i provvedimenti presi in questo periodo vi è l’eccellente riorganizzazione della Gioventù Universitaria Fascista (GUF), dei Littoriali, delle manifestazioni studentesche. Tra le attività parlamentari di cui De Vecchi si occupa da segnalare altresì il lavoro per la determinazione degli enti che propongono i candidati alle elezioni politiche (1932), nonché quello per il perfezionamento del sistema corporativo (1934).

All’attività politica unisce quella culturale, divenendo Presidente dell'Istituto per la Storia del Risorgimento (agosto 1933) e Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (6 maggio 1935-4 gennaio 1946). Alla fine del 1936 diviene Governatore delle Isole Italiane dell’Egeo (Dodecaneso) carica che manterrà fino al 1940. In tale veste si occupa della promozione della cultura Italiana nelle isole, finanziando scuole e opere pubbliche, ma suscitando l’ira degli esponenti panellenici. Nel corso del suo mandato di Governatore riorganizza la difesa del Possedimento e alla fine del 1940 si dimette da Governatore per le divergenze di vedute sulla condotta della guerra sia con Mussolini che con gli alti comandi militari. Rimane senza incarichi sino al 20 Luglio 1943 quando viene nominato comandate della 215a Divisione Costiera schierata in Toscana.

Decide di votare a favore dell’ordine del giorno Grandi del 25 luglio 1943. Dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943 la sua Divisione ha scontri di notevole portata con le forze tedesche. Costretto a deporre le armi per ordini superiori, si reca a Torino, rifiutando di riconoscere la RSI. Nei primi giorni del mese di Ottobre 1943 si da alla macchia per evitare l’arresto da parte di membri della neonata rsi e viene aiutato dai salesiani riconoscenti per quanto lui aveva fatto per la santificazione del Fondatore e per le opere sue in giro per il mondo.

Viene nascono in varie strutture tra Piemonte e Valle d’aosta e dopo la guerra a Roma. Rinviato a giudizio anche dal Regno d’Italia diventata poi Repubblica Italiana, con un passaporto paraguagio si trasferisce in Argentina (15 Giugno 1947). Decide di rientrare in Italia nel giugno 1949 solo dopo che la Cassazione ha confermato la sentenza del 1947 che lo assolveva per tutti i capi d’accusa e lo condannava a 5 anni (con applicazione dell’amnistia) per la parte avuta nella Marcia su Roma e si stabilisce a Roma, dove, fortemente debilitato per la ormai malferma salute, si ritira a vita privata. Muore il 23 giugno 1959 nella Capitale all’età di 74 anni e mezzo.

(1884-1959)






domenica 4 ottobre 2009

NICOLINO BOMBACCI (1879-1945)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO


NICOLINO BOMBACCI (1879-1945)

Come poter cominciare una storia su Nicola Bombacci, come poter introdurre e spiegare in un breve articolo la vita così intensa ed appassionata del più anomalo stretto collaboratore di Mussolini durante quei giorni goliardici della RSI?

Pochi di voi avranno mai sentito nominare il suo nome, nessuno, fuori dalla destra sociale ha la benché minima idea di chi sia questo personaggio. La risposta è che sono state gettate su di lui non solo le poche spanne di terra con le quali venne ricoperto il suo corpo straziato dopo l’infamia di Piazzale Loreto, ma egli fu condannato alla Damnatio memoriae da parte di tutto il mondo comunista e della sinistra in generale, in quanto egli è estremamente imbarazzante per quel mondo, e non solo. La sua figura e la sua storia sono la prova lampante che l’unico socialismo mai realizzato in Italia porti la firma di Benito Mussolini.

Quando gli uomini del così chiamato "Colonnello Valerio" consegnarono alla stampa l’elenco dei morti esposti a Piazzale Loreto, nell’ultima riga spuntava il nome del più sconosciuto fra i poveri corpi che subirono quello strazio, ossia Nicola Bombacci- SUPERTRADITORE.Cosa poteva aver mai fatto per meritarsi tale titolo, per meritarsi il silenzio, l’oblio del mondo politico tutto?

Nicola Bombacci era nato il 29 Ottobre 1879 a Civitella di Romagna, vicinissimo a Predappio, da una famiglia di coltivatori molto legati alla dottrina cattolica. Nicola crebbe in un ambiente perciò molto religioso, frequentò la scuola della parrocchia , e nel 1895, andò in seminario. Lasciò quella scuola nel 1900 e non rinnegò mai, nel suo cuore, gli insegnamenti cristiani di carità ai poveri e di servire gli oppressi, anche quando, da leader social-comunista faceva il mangiapreti e sfidava apertamente Dio e la chiesa. Nel 1903, ancora studente, si iscrisse al partito socialista, e diventò un convinto attivista , la sua abile retorica e la sua foga gli fecero strada nel campo politico aprendogli le strade per le più alte cariche di partito. Da notare sono le coincidenze che uniscono in modo così stretto Mussolini e Bombacci, così diversi, ma molto simili. Entrambi romagnoli, entrambi socialisti, entrambi maestri elementari, l’uno fondatore del partito fascista, l’altro del partito comunista, l’uno donnaiolo, l’altro monogamo, l’uno rissoso e cercaguai, l’altro timido e diplomatico. Due nemici amici, che, anche nei giorni dello squadrismo e durante il ventennio non smisero mai di provare profonda simpatia l’uno per l’altro. E durante i giorni della RSI tornarono assieme, come ai vecchi tempi, in nome di una socializzazione che si sarebbe potuta realizzare solo ora, solo ora che il fascismo si era depurato dalle plutocrazie monarchiche e borghesi che avevano cercato di sopprimere i grandi ideali sansepolcristi del ’19.Come abbiamo già detto Nicola Bombacci divenne una vera personalità nel mondo socialista romagnolo ed emiliano in seguito , fu a capo della sezione di Modena del partito socialista negli anni 1914-1915. Divenne rappresentante della corrente rivoluzionaria del PSI , che si opponeva ai moderati guidati da Turati , appoggiò le rivolte dei braccianti contro i mezzadri e, dopo la rivoluzione russa, come guida della delegazione italiana in unione sovietica in occasione dell’Internazionale, come membro del Comintern, e conoscente personale di Lenin, divenne l’”UOMO DI MOSCA”, il fidato fiduciario della Russia bolscevica in Italia. Nel 1921 assieme a Gramsci, fu fautore della scissione dal PSI da cui nacque in PC D’I, Partito Comunista d’Italia. Ma ormai, la fiducia di Mosca nei suoi confronti cominciò a diminuire, la sua influenza nel mondo politico italiano a spegnersi. Lenin stesso gli rimproverò : ”In Italia c’era un solo uomo capace di compiere la rivoluzione, Mussolini, e voi ve lo siete lasciati scappare”. Bombacci si rese conto ben presto che il partito comunista era una cloaca di intellettuali e filosofi che nulla sarebbero stati capaci di compiere.
Egli era il nemico numero uno degli squadristi del ‘20 e ’21, uno stornello dell’epoca diceva “ Me ne frego di Bombacci e del sol dell’avvenir, con la barba di Bombacci faremo spazzolini, per lucidar le scarpe a Benito Mussolini”; con forte derisione della lunga barba biondo scuro che teneva Nicola Bombacci.

Nicola era un comunista anomalo, e la sua rottura morale con il partito la si ebbe nel suo discorso al parlamento del 30 Novembre 1923, giorno in cui si discusse l’apertura dei commerci italiani con l’URSS. Bombacci parlò a nome della Russia in favore di questo patto, fece un discorso pieno di patriottismo verso l’Italia e parlò persino di “Unire le due rivoluzioni, quella bolscevica e quella fascista, entrambe antiborghesi, per una comune lotta contro le plutocrazie capitaliste”. Alla fine del suo discorso il deputato fascista Giunta gridò : ”Onorevole Bombacci, c’è una tessera fascista pronta per lei”.

Ciò che allontanò definitivamente Bombacci dal comunismo filosovietico, fu la svolta stalinista presa dopo i funerali di Lenin, a cui egli stesso partecipò. Dopo l’allontanamento dal comunismo anche in Italia, cadde in miseria. Era povero, realmente, era comunista, tenuto d’occhio dalle autorità, come “Elemento sovversivo”. Si sa che Mussolini intervenne sempre, in segreto, affinché non gli venisse torto un capello, durante gli anni dal 24 al 42. Anzi, nel 1930 si sa che Bombacci scrisse una lettera al Duce in cui gli spiegava la sua miseria. Mussolini gli procurò il lavoro, come responsabile dell’importazione di prodotti agricoli e del grano dalla Russia, risollevando le sue condizioni economiche. Nel 1936 gli permise persino di pubblicare una rivista, la “Verità”, di stampo chiaramente comunista, che ebbe un alto successo. Questo per coloro che vanno predicando la “Terribile persecuzione contro la libertà di stampa perpetuata dai fascisti”. Nicola Bombacci si avvicinò sempre di più al fascismo anche se non arrivò mai a definirsi tale.

L’8 Settembre 1943 Bombacci era a Roma e visse le tribolazioni nell’ombra, scrutando gli avvenimenti con attenzione. Quando sentì Il suo amico Mussolini parlare di “Repubblica SOCIALE italiana “ ebbe un moto nell’animo che lo spinse al nord, vicino al suo amico, nella ricerca di quella repubblica socialista che aveva tanto sognato.L’ arrivo di Bombacci come collaboratore giunse a Mussolini come una pioggia fresca dopo mesi passati nel deserto. Passavano serate assieme passeggiando sulle rive del lago, Bombacci girava per le città parlando ai lavoratori, infiammando le piazze, chiamandoli con una parola che era stata tabù per vent’anni ”Cari compagni, a cui aggiungeva un Cari camerati”. I lavoratori lo amavano, anche se sia lui che loro sapevano che ormai era troppo tardi. Catturava la simpatia dei fascisti salendo sul palco fischiettando “Me ne frego di Bombaci e del sol dell’avvenir” : “Eccomi quà”.Nicola Bombacci fu il fautore, assieme a Mussolini e a Angelo Tarchi, della legge sulla socializzazione , approvata il 12 Febbraio 1944. Questa legge rivoluzionava l’intero sistema borghese dell’epoca.

Conteneva norme sulla statalizzazione di molte grandi aziende, norme sulla nomina del sindacato, l’assegnazione degli utili ai lavoratori ecc. Ai tedeschi questa norma non piacque affatto, ma al momento avevano altro a cui pensare. I fronti stavano retrocedendo pericolosamente verso i confini della Germania, e poi vi era il problema della deportazione degli ebrei, enormemente frenata in Italia grazie alla RSI.

Si sa che la massa ormai era arrabbiata con i fascisti. Gli operai ormai erano già stati indottrinati da un anno dai membri del CLN, e purchè applaudissero Bombacci, quando votavano alle urne per eleggere i rappresentanti del consiglio di gestione aziendale, venivano eletti Greta Garbo o Henry Ford.

Si giunse infine al fatidico Aprile 1945. Verso sera, nel cortile della prefettura di Milano vi è un gran fuggi fuggi. Uomini si tolgono le divise e si vestono in borghese, molti documenti vengono bruciati. La macchina con Mussolini era già pronta, Nicola voleva seguirlo fino in fondo. Il piano era di raggiungere Como, e poi la Svizzera o il Brennero. Probabilmente anche loro sapevano che non sarebbe stato possibile. Nicola Bombacci salutò con cordialità e con il suo solito umorismo romagnolo Vittorio Mussolini, e gli altri, mostrando una serenità che, in quella situazione, dava coraggio.

La presenza di Mussolini e Bombacci nella colonna tedesca fu poi scoperta a Dongo grazie al tradimento dei crucchi che rivelarono tutto in cambio della possibilità di proseguire il viaggio verso casa. Oltre a Bombacci e Mussolini furono arrestati Barracu, Zerbino, Pavolini, Casalinovo, Utimpergher e altri. Pavolini sapeva di non avere speranze di vita. Egli era il capo delle brigate nere, il corpo che più duramente contrastò la guerriglia partigiana e che inflisse le più dure perdite alle brigate Garibaldi. Gli altri fra cui Bombacci, avevano speranza di vita, in fondo non avevano fatto nulla in particolare. Eppure la sentenza di morte arrivò indiscriminatamente per tutti.

Furono fucilati a Dongo, sul lungolago. Anche prima della fucilazione, Bombacci continuò a fare battute di spirito, e quando le decine di colpi di mitra gli vennero scaricate addosso, prima di morire gridò “Viva Mussolini, viva il socialismo”.Questa fu la vita del supertraditore. Quest’ uomo rappresenta per tutta la destra sociale e proletaria quella terza via che a lungo siamo andati cercando, e che potremmo trovare, forse, guardando con occhi sinceri e cuore onesto la vita di quel maestro elementare romagnolo la cui esistenza ed esecuzione sono prove lampanti che si può uscire dagli schemi, che esiste un’altra strada, fra il marxismo, il liberalismo e le varie dottrine affariste del centro. Basta porsi con fede di fronte ai sentimenti del proprio cuore, per vederla, e per cercare di inseguirla. Lui ha pagato con la morte questa scelta, facciamo in modo che il suo sacrificio non sia stato vano.

(1879-1945)

giovedì 1 ottobre 2009

MICHELE BIANCHI (1883-1930)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO

MICHELE BIANCHI (1883-1930)

Padre del Sindacalismo Fascista, fu Quadrumviro in rappresentanza di tale ala del Fascismo. Organizzatore brillante ed esperto dei lavori pubblici, morì prematuramente, ricordato da tutti come eccellente e zelante Ministro.


Nato il 22 luglio 1883 da Francesco e Caterina a Belmonte Calabro, nel Cosentino, frequentò il liceo a Cosenza, e a Roma si iscrisse alla facoltà di legge. Per dedicarsi all'attività politica, lasciò gli studi e divenne redattore dell'Avanti e dirigente dell'Unione Socialista Romana. Nell'aprile del 1904 partecipò a Bologna al congresso socialista come delegato ed esponente della fazione sindacalista. A metà del 1905, resosi ormai acuto il contrasto tra i sindacalisti e il resto del partito, si dimise dall'Avanti, allora diretto da Ferri, assieme ad altri redattori, motivando la decisione in un articolo sul Divenire Sociale del giugno 1905 che può essere considerato uno dei manifesti fondamentali del sindacalismo italiano.

Il 1° luglio 1905 Michele Bianchi assunse, per qualche mese, la direzione di Gioventù Socialista (organo della Federazione Nazionale Giovanile Socialista) organizzando una vasta campagna antimilitarista. Per tale fatto, fu deferito all'autorità giudiziaria e condannato. Nel dicembre si trasferì a Genova, come segretario della locale Camera del Lavoro, e assunse la direzione di Lotta Socialista. L'acquisizione della nuova carica comportò la creazione a Genova di un'altra Camera del Lavoro da parte dei socialisti antisindacalisti, frutto dell'estrema tensione a cui era ormai pervenuta anche all'interno del movimento operaio locale la lotta di fazione. In questa situazione Bianchi svolse sin dall'inizio un'intensa attività giornalistica ed organizzativa per conquistare alla corrente sindacalista l'egemonia sul proletariato locale, e diresse, per tutto il 1906, numerose agitazioni. Il Bianchi ebbe una parte di qualche rilievo al congresso socialista di Roma dell'ottobre 1906 dove propose un ordine del giorno antimilitarista, nettamente bocciato. Egli denunciò quindi i limiti della politica antimilitarista del partito socialista, rivolta unicamente alla riduzione delle spese improduttive. Come segretario della Camera del Lavoro di Savona, dove si era trasferito, Bianchi diresse numerose lotte rivendicative e di protesta locali, alcune coronate da successo. Ebbe inoltre una parte di rilievo nelle vicende che condussero alla scissione dei sindacalisti dal partito socialista, avvenuta prima al congresso giovanile socialista di Bologna nell'aprile 1907, e poi al primo congresso sindacalista tenuto a Ferrara nel luglio dello stesso anno. A Ferrara si trasferì per qualche mese nel 1907, per riorganizzare le file del movimento sindacale in un vero e proprio Partito Sindacalista, indebolito però dall'arresto di numerosi dirigenti locali in seguito allo sciopero del marzo-giugno nell'Argentario. Nel maggio del 1910 Michele Bianchi tornò a Ferrara, assumendo la carica di segretario della Camera del Lavoro e la direzione del periodico La Scintilla, che mantenne fino alla metà del 1912. Convinto assertore dell'unità proletaria almeno a livello locale, egli si prodigò a rinsaldarla anche sul piano politico, riuscendo a ricostituire una lista unica tra sindacalisti e socialisti per le elezioni arnministrative del 1910. Nel dicembre del 1910, fu tra i protagonisti del secondo Congresso sindacalista di Bologna con un ordine del giorno contrario alla pregiudiziale antielettorale, che fu respinto perché ritenuto non rispondente al genuino spirito sindacalista. Il Bianchi annunciò allora di voler costituire un nuovo partito, l'Unione Sindacalista Italiana. Ma l'iniziativa del Bianchi non ebbe sviluppo e ciò fu oggetto di un ampio dibattito sulla Scintilla e di un convegno tra numerose organizzazioni economiche del Ferrarese e del Bolognese. Nel 1911 diresse le agitazioni nel Ferrarese per la costituzione degli uffici di collocamento e la revisione dei patti colonici, cercando di frenare le manifestazioni degli scioperanti più scalmanati, suscettibili di rendere più difficile la via dell'accordo, e deferendo infine la composizione della vertenza ad un arbitrato prefettizio.

Alla fine del 1911 il Bianchi poteva fare un bilancio nettamente positivo delle forze aderenti alle sue direttive in quanto l'unità tra le varie tendenze e tra le varie categorie del movimento operaio ferrarese aveva resistito alla prova, portando gli aderenti alla Camera del Lavoro di Ferrara dai l4.000 della fine del 1909 ai 34.000 dell'11. Forte di questo successo, il Bianchi decise la trasformazione della Scintilla da settimanale a quotidiano. Ma l'iniziativa non resse alle difficoltà finanziarie. La pubblicazione quotidiana del giornale durò infatti soltanto dall' aprile all' agosto del 1912. Incriminato per un articolo eccessivamente denigratorio della guerra libica, contro la quale aveva organizzato agitazioni, il Bianchi nell'agosto 1912 riparò a Trieste, allora austriaca, dove entrò a far parte della redazione del Piccolo. Espulso dalla città alla fine dello stesso anno per propoganda filo-italiana, tornò a Ferrara per un'amnistia, e qui diresse la Battaglia, un giornale fondato in vista delle elezioni politiche, alle quali si presentò candidato di un effimero Partito Sindacale, senza successo. Al congresso delle organizzazioni sindacali del Ferrarese, tenuto il 27-28 dicembre del 1913, dopo che i sindacalriformisti avevano deciso di organizzarsi separatamente dai sindacalisti, gli veniva nuovamente offerta la carica di segretario della Camera del Lavoro sindacalista, che però rifiutò. Trasferitosi a Milano, divenne uno dei dirigenti della locale Unione Sindacale, che era aderente all'omonimo organismo nazionale.

Scoppiato il conflitto europeo, il Bianchi si schierò nettamente per l'intervento dell'Italia contro gli Imperi Centrali, e, visto vano ogni tentativo di allineare su questa posizione l'intera Unione Sindacale Italiana, decise di secedere da tale organismo, fondando con la maggior parte degli iscritti milanesi e parmensi, il 5 ottobre 1914, il Fascio Rivoluzionario d'Azione Internazionalista, di cui divenne Segretario, firmando il manifesto detto “appello ai lavoratori d'Italia”. In esso egli invocava l'immediato intervento dell'Italia per rendere più sollecita e decisiva la vittoria dell'Intesa, inaugurando il sindacalismo rivoluzionario interventista. Nel dicembre 1914 il FRAI si trasformò in Fascio d'Azione Rivoluzionaria e il Bianchi fu tra i promotori del congresso nazionale di Milano del 24-26 gennaio 1915, allo scopo di coordinare le iniziative dei vari fasci locali. Partecipò alle agitazioni milanesi del 31 marzo per l'immediato intervento dell'Italia. Fu in tali circostanze che trovò unità d'intenti con Mussolini.Dichiarata la guerra, riuscì nonostante la malferma salute ad arruolarsi come volontario, col grado di sottufficiale prima nella fanteria e poi nell'artiglieria. Per impedire uno sgretolamento del fronte interventista, causato e dalla carenza delle direttive di governo e dall'azione neutralista, riunì a Milano, il 21-22 maggio, un congresso dei Fasci d'azione rivoluzionaria. A ostilità concluse, il Bianchi fu per breve tempo Redattore capo del giornale di Mussolini, il Popolo d'Italia, dove per lo più si occupò di questioni sindacali, insistendo sul problema dell'unificazione dei vari organismi esistenti, da realizzarsi al di fuori di ogni tutela dei partiti. Sansepolcrista, come membro del Fascio milanese, fu, durante l'adunata di piazza S. Sepolcro del 23 marzo 1919, nominato membro del comitato centrale dei Fasci di combattimento. Ai primi di ottobre fu inviato da Mussolini a Fiume, per dissuadere D'Annunzio dal proposito di intraprendere una marcia all'interno del paese. Fu in questa occasione che D'Annunzio autorizzò Mussolini, attraverso il Bianchi, a utilizzare per la campagna elettorale Fascista parte dei fondi raccolti per Fiume. Si preparava intanto la trasformazione del movimento Fascista in partito, e il Bianchi vi collaborò attivamente. Nell'agosto 1921 partecipò all'istituzione della scuola di propaganda e cultura Fascista, e vi tenne la conferenza inaugurale. Costituitosi il Partito Nazionale Fascista nel novembre 1921, il Bianchi fu eletto membro del comitato centrale, e quindi, come uomo di fiducia di Mussolini, Segretario Generale e membro della commissione incaricata di elaborare il programma-statuto del partito.

Al Bianchi furono affiancati quattro vice segretari, A. Starace, P. Teruzzi, A. Bastianini e A. Marinelli costituendo in tal modo l'unione di tutte le correnti del partito, di cui Bianchi costituiva l'ala sindacalista. Tra i membri della segreteria si sarebbe così costituita ben presto una fitta rete di collaborazione che avrebbe portato il Fascismo al trionfo.L'attività del Bianchi come dirigente del Partito è anche contraddistinta, in questo periodo, da una sottile politica mediatrice, tale da permettergli di sottoporre le manifestazioni periferiche dello squadrismo a un più severo controllo del centro, costituendo un ispettorato centrale delle squadre di combattimento. Nella primavera-estate del 1922 lo scatenarsi dell'offensiva squadrista in tutto il Regno trovò il Bianchi in prima linea: così il 29 maggio, in occasione delle manifestazioni Fasciste bolognesi contro il Prefetto, ordinava il passaggio dei poteri dai direttori dei Fasci locali ai Comitati d'azione e annunciava il proprio trasferimento a Bologna. Proclamato dall'Alleanza del lavoro lo sciopero legalitario per il 1° agosto, il Bianchi inviava a tutte le federazioni una circolare con la quale ordinava la mobilitazione delle squadre e la loro entrata in azione se lo sciopero non fosse cessato entro quarantotto ore, informando inoltre di persona il governo e il Re circa i propositi Fascisti.

Alle riunioni del comitato centrale, della direzione, del gruppo parlamentare Fascista e della presidenza della Confederazione delle corporazioni del 13 agosto, il Bianchi prospettava l'alternativa tra ascesa al potere con nuove elezioni o per la via rivoluzionaria, dichiarandosi, con Balbo e Farinacci, favorevole all'ultima soluzione. Decisa la Rivoluzione, il Bianchi svolse un compito di primo piano nella preparazione della Marcia su Roma. Da una parte, fu sua cura organizzare più saldamente il partito e allargarne l'influenza anche nelle regioni meridionali; dall'altra, funzionò da spalla di Mussolini nei contatti con le varie forze politiche, compresi gli esponenti del governo Facta. Nominato, in quanto Segretario del partito e rappresentante dell'ala sindacale, membro del Quadrunvirato con De Vecchi, De Bono e Balbo, partecipò il 24 ottobre alla riunione dell'albergo Vesuvio di Napoli, dove vennero concordate le ultime misure (la sagra di Napoli). Tornato a Roma si adoperò, di concerto col Re, affinché fossero sventate manovre parlamentari, e per dirimere le ultime incertezze da parte Fascista. La Rivoluzione fu così un trionfo.

Mussolini, incaricato di formare il nuovo governo, suscitò subito l'accesa protesta del Bianchi contro l'eccessiva larghezza della coalizione, essendo in particolare contro i Popolari. Presentò perciò le dimissioni da Segretario del partito, che non furono accettate. Il 4 novembre Bianchi assumeva la carica di Segretario Generale al Ministero degli Interni, lasciando quindi la segreteria del partito, che venne divisa in due e diminuita d'importanza: una politica (Bastianini e Sansanelli) e un'altra amministrativa (Marinelli e Dudan) con direzione di Sansanelli. Come membro del Gran Consiglio del Fascismo, Bianchi fece parte di una commissione incaricata di elaborare la nuova legge elettorale, il cui progetto fu presentato e approvato il 25 aprile dal Gran Consiglio stesso. Sempre nell'ambito del Gran Consiglio il Bianchi fece anche parte di una commissione incaricata di dettare norme precise per una maggiore valorizzazione delle forze sindacali e tecniche del Fascismo. Bianchi fece parte quindi della cosiddetta pentarchia, incaricata di redigere il listone per le elezioni politiche dell'aprile 1924, nelle quali fu eletto Deputato per la circoscrizione calabro-lucana.

Il 14 maggio rassegnò le dimissioni dalla carica di Segretario generale del ministero degli Interni per incompatibilità con quella di Deputato. Contemporaneamente, in qualità di membro della commissione incaricata di elaborare la riforma del regolamento della Camera, presentò un progetto che prevedeva, tra l'altro, una procedura abbreviata per le discussioni parlamentari, allo scopo evidente di restringere le funzioni del Parlamento. Il 3 giugno, in risposta al discorso della Corona, volto a stemperare le tensioni, si fece portavoce presso il Re della volontà normalizzatrice del governo. Il 31 ottobre 1925 fu nominato alla carica di Sottosegretario di Stato ai Lavori pubblici con compiti specifici per le regioni sottosviluppate, rivolgendo gran parte della propria attività al potenziamento economico della natia Calabria, ottenendo strepitosi risultati. Trasferito il 13 marzo 1928 al Sottosegretariato deI Ministero dell'Interno, partecipò all'attuazione già in corso dell'ordinamento podestarile, alla riforma dello stato giuridico dei segretari comunali, al riordinamento dell'organismo della Provincia, al rinvigorimento della politica sanitaria ed assistenziale. Il 12 settembre 1929 il Bianchi (che era stato rieletto Deputato), venne elevato alla carica di Ministro dei Lavori Pubblici, dove mise a disposizione della Nazione le sue esperienze calabresi. Ma, contemporaneamente, le sue condizioni di salute, già da tempo precarie per una grave malattia, peggiorarono irrimediabilmente portandolo alla morte prematura, a Roma il 3 Febbraio 1930.

Il Bianchi è ricordato ancor oggi come grande politico soprattutto in Calabria, dove vi sono vie e piazze a lui dedicate, nonché busti e monumenti. Tra questi si annovera una stele posta su un poggio, presso il suo paese natio Belmonte Calabro, visibile percorrendo l'autostrada A3. In essa si ricorda il suo impegno per la Calabria e per tutti i lavoratori, gli umili e i diseredati italiani.

(1883-1930)

martedì 29 settembre 2009

EMILIO DE BONO (1866-1944)



I PERSONAGGI DEL FASCISMO



EMILIO DE BONO (1866-1944)

Uomo militare di stampo Risorgimentale, Quadrumviro rappresentante l’ala militare del Fascismo, fu eroe di tutte le guerre patrie sin dalle prime spedizioni africane del 1887. Se non altro per la vita spesa al servizio dell’Italia, avrebbe meritato ben altra sorte di quella che lo colpì ormai vecchio nel 1944.

Emilio De Bono nacque il 19 marzo 1866 a Cassano d'Adda, in Provincia di Milano, da Giovanni ed Emilia. Cresciuto in un ambiente militaresco e appassionato sin da giovinotto alla vita guerresca, si iscrisse giovanissimo all'Accademia intraprendendo la carriera militare nel Regio Esercito, quale Bersagliere. Nel 1887 partecipò alla Campagna d'Africa. Sposò Emilia Monti Maironi, giovane nobildonna, e passò la giovinezza trasferendosi di città in città nelle varie accademie e stazioni militari, tra cui per lungo tempo Trapani, divenendo Tenente e poi Capitano.

Con l'inizio del nuovo secolo divenne Colonnello del 15° Reggimento Bersaglieri e in vista della Guerra di Libia (1912) divenne Generale e Capo di Stato Maggiore in guerra. Pluridecorato durante la Prima Guerra Mondiale si dedicò anche alla composizione poetica, scrivendo tra le altre, le parole della canzone-poesia "Monte Grappa", interamente in endecasillabi, musicato dall'allora Capitano Antonio Meneghetti.

Nel dopoguerra iniziò la sua attività politica capeggiando, assieme al Generale Fara, la parte dell'esercito che nel 1920 aderì compatta al Fascismo e partecipò alla fondazione del PNF, rappresentandone l'ala militarista. Tra gli organizzatori della Sagra di Napoli, fu nominato Quadrumviro della Marcia su Roma e in tale veste partecipò alla guida della Rivoluzione delle Camicie Nere. A Rivoluzione compiuta divenne Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, e quindi Primo Comandante della MVSN. In tale veste regolarizzò perfettamente lo squadrismo e il volontarismo Fascista costruendo la Quarta Arma dell'Esercito. Travolto dalle conseguenze del delitto Matteotti, dovette dimettersi dai suoi incarichi per essere processato: fu comunque assolto per non luogo a procedere. Nel 1923 divenne Senatore del Regno. Fissata la sua residenza a Tripoli, divenne Governatore della Tripolitania per il triennio 1925-28, per diventare nel 1929 Ministro delle Colonie. In tale veste organizzò con saggezza le forze armate africane e divenne prudente fautore della Guerra d'Etiopia; dal 1935 fu Alto Commissario per l'Africa orientale, ma venne sostituito nel 1936 da Badoglio dopo le prime operazioni, ritenute troppo prudenti, nonostante i successi ottenuti fino a quel momento.

In effetti quando Emilio De Bono sbarcò a Massaua, i preparativi fatti erano assolutamente inadeguati allo scopo di regolare una volta per sempre il conto aperto nel 1896 ad Adua. L'attrezzatura portuale, stradale, economica, militare dell'Eritrea doveva essere moltiplicata per cento e non in un lasso di tempo indefinito, ma in un periodo di tempo brevissimo, precisato e stabilito: l'ottobre del 1935. De Bono rispettò questa data come una consegna sacra e ai primi di ottobre la grande macchina era pronta per scattare. La volontà di De Bono, la sua cinquantennale esperienza, il suo sangue freddo, il suo giovanile ottimismo, furono gli elementi determinanti del successo e il passaggio di consegne a Badoglio fu effettuato con preciso scopo tattico: si ritenne De Bono più esperto nella preparazione, Badoglio nella finalizzazione delle operazioni.

Tornato a Roma fu festeggiato a buon diritto tra gli artefici della proclamazione dell'Impero e divenne Maresciallo d'Italia. Ispettore delle Truppe d'Oltremare nel 1939 e poi comandante delle Armate del Sud, si oppose fermamente all'intervento in guerra, essendogli naturalmente note le condizioni militari Italiane. Il 25 luglio 1943 votò pertanto la sfiducia a Mussolini, deluso dal suo modo di agire, senza pensare minimamente a tradimenti o cambi d'alleanza, ma pensando a un semplice passaggio costituzionale. Il caos che seguì quel voto lo prese completamente alla sprovvista, tanto che l'arresto lo colse ignaro delle motivazioni. La sua deposizione al Processo di Verona ribadì la sua totale estraneità al caos istituzionale avvenuto. Tuttavia fu ugualmente condannato a morte e giustiziato l'11 gennaio 1944, all'età di 78 anni.

(1866-1944)

venerdì 31 luglio 2009

E' sotterrato in Italia il Carteggio Mussolini-Churchill?


Molti documenti importanti che Mussolini portava con se al momento dell’epilogo gli sono stati confiscati dai partigiani della 52° brigata Garibaldi, quelli che lo hanno arrestato sulla piazza di Dongo alle 15,30 del 27 aprile 1945. Gli incartamenti erano racchiusi in tre borse di cuoio marrone. Una era stata consegnata dal Duce al fratello di Claretta Petacci, Marcello, la seconda la custodiva l’ufficiale d’ordinanza del leader fascista, Vito Casalinuovo (colonnello della Guardia Nazionale Repubblicana), la terza Mussolini se la portava personalmente appresso. Tuttavia non erano questi le carte mussoliniane più scottanti (il carteggio Churchill-Mussolini?).
In un bel libro di accalorate memorie, “Il chiodo a tre punte”, pubblicato nel 2003 da Gianni Iuculano Editore, la oggi ottantasettenne Elena Curti, una figlia naturale di Mussolini, ha scritto: <>.
Nel 1995 il noto giornalista-scrittore Raffaello Uboldi ha dato molta importanza a queste parole.Gli erano state riferite dalla signora Curti nel corso di una lunga intervista telefonica.Il che lo ha indotto a scrivere un articolo, “Quella busta che mio padre teneva stretta”, pubblicato il 17 settembre su un quotidiano milanese. Era la seconda volta che si parlava sulla carta stampata, con una dovizia di dettagli, del contenuto del piccolo involucro marrone conservato con religiosa cura da Mussolini in fuga verso il Ridotto Alpino Repubblicano: la Valtellina (già in precedenza Elena Curti, prima degli anni sessanta, aveva detto le stesse cose ad un’altra testata giornalistica) (E. Curti, comunicazione personale). Accompagnato dalla Curti e da altri fedelissimi in camicia nera, il Duce voleva consumare, tra i picchi innevati delle alpi, il virile ed agognato olocausto redentore, un sudario di ferro e fuoco che Alessandro Pavolini, il segretario del Partito Fascista Repubblicano, aveva da tempo simbolicamente iconizzato (V. Podda, “Morire con il sole in faccia”, Ritter, 2005).
Ha annotato il gerarca fascista Asvero Gravelli (“Mussolini aneddotico”, Latinità, s. d.), riferendo un fatto accaduto nella Prefettura di Milano il 20 aprile del 1945: <<Mussolini sollevò lo sguardo su di me che gli stavo di fronte, lentamente portò la mano sinistra sulla parte destra interna della giubba, ne estrasse un pacchetto di carte, legato, e protendendolo verso di me, esclamò: ‘Gravelli! Bisogna resistere ancora un mese: ho tanto in mano da vincere la pace. Combatteremo e moriremo bene, se necessario, ma ricordatevi (e qui scandì le parole sillabando) ho tanto in mano da giocare la pace’>>.
Scortata da un reparto tedesco di circa 200 uomini appartenenti alla Luftwaffe, la colonna Mussolini, in ripiegamento verso Sondrio, era stata bloccata a poche centinaia di metri da Dongo (Musso) a causa di uno sbarramento stradale messo in posa dai garibaldini che operavano sui contrafforti dell’alto Lario. Dopo un estenuante trattativa, i partigiani avevano consentito ai soli nazisti la facoltà di proseguire verso il nord. Prima però era necessario che i camion della Luftwaffe fossero ispezionati sulla piazza di Dongo per escludere l’eventuale presenza di infiltrati fascisti. Questi, infatti, si dovevano consegnare ai patrioti comunisti che erano scesi dal monte Berlinghera per partecipare all’ultima fase del moto insurrezionale. Il tenente delle SS Fritz Birzer (comandante della scorta tedesca che doveva proteggere il capo fascista), il capitano Otto Kisnat (Kriminal Inspektor alle dipendenze dei servizi segreti di sicurezza del Sichereits Dienst e addetto alla persona del Duce) ed il capitano Hans Fallmeyer (responsabile del reparto della Luftwaffe) hanno concordemente deciso di tentare di mettere in salvo Mussolini (mettere in salvo è forse un eufemismo): lo volevano nascondere, confuso tra gli avieri del Reich, su uno dei loro automezzi. Per la bisogna il Duce ha indossato un cappotto ed un elmetto delle truppe del Fuhrer ed in mano gli è stata messa una machinepistole calibro 38.
Prima però c’è stato un importante colloquio. In realtà, tale dialogo interlocutorio non è stato dovutamente vagliato (o forse troppo) dagli storici che si sono interessati sull’argomento dei carteggi mussoliniani. Ha scritto il giornalista Giuseppe Grazzini (A Dongo Mussolini aveva un pacchetto in tasca. Epoca, 17 ottobre 1965, n° 786): <>.
Quasi sicuramente molte carte del Duce sono state recuperate dagli agenti dei servizi segreti alleati. Che in Inghilterra siano finiti papiri sequestrati a Mussolini in quel di Dongo lo ammettono gli stessi storici inglesi (R. Lamb. Mussolini e gli inglesi. TEA, 2002). Ma qualche cosa non è a Londra (Foreing Office) o a Washington (CIA). Chiosa, infatti, il Grazzini: <>. Su questo punto E. Curti non è d’accordo. Secondo lei un Mussolini riluttante, perquisito all’interno del Municipio di Dongo dal comandante partigiano Pier Luigi Bellini delle Stelle (Pedro), avrebbe consegnato a Pedro le lettere che aveva riposto nella tasca interna della giacca della sua divisa da Caporale d’Onore della Milizia (E. Curti, comunicazione personale).
Per amor del vero è necessario riportare quanto si legge sul libro “L’ora di Dongo” (Alessandro Zanella, Rusconi, 1993): <>. Anche i partigiani Pier Luigi Bellini delle Stelle (Pedro) ed Urbano Lazzaro (Bill) hanno segnalato il fatto descritto dallo Zanella (Dongo: la fine di Mussolini. Mondadori, 1962). Pietro Carradori, il fedele attendente del Duce catturato a Dongo, non ha mai menzionato il Kisnat nelle sue memorie (L. Garibaldi. Vita col Duce. Effedieffe, 2001). Nemmeno Ray Moseley ne parla nel volume che ha dato recentemente alle stampe (Mussolini. I giorni di Salò. Lindau, 2006). Lo stesso dicasi per Remigio Zizzo in “Mussolini. Duce si diventa” (Keybook, 2003). Idem come sopra se si legge il “Contromemoriale” di Bruno Spampanato (C. E. N., 1974) o “Ultimo atto” di Romano Mussolini (Rizzoli, 2005).
Su “L’Arena” di Verona, Jean Pierre Jouve (Intervista a Fritz Birzer, il comandante della scorta tedesca di Mussolini. 1 e 3 marzo, 1981) ha scritto: <>. Sullo stesso giornale viene riportato quanto ha detto il tenente delle SS Fritz Birzer: <>.
Ricciotti Lazzero trascrive molti dialoghi intercorsi tra Mussolini e il Kisnat prima che la colonna del Duce fosse bloccata a Musso (Un passo verso la verità sulla morte di Mussolini. Dongo. Epoca 18 e 25 agosto, 1968, n° 934-935). Se diamo retta ad Antonio Spinosa (Mussolini il fascino di un dittatore. Mondadori, 1989) è stato proprio Otto Kisnat a dare a Mussolini un paio di occhiali scuri quando stava per salire, camuffato, sul camion dei tedeschi. Lo storico Gian Franco Bianchi è pure lui propenso a credere che il Kisnat faceva parte del contingente tedesco impegnato a scortare il capo fascista lungo la lariana occidentale (Mussolini. Aprile ’45: l’epilogo. Editoriale Nuova, 1985). Ciò vale anche per Antonio Marino (Dongo, capolinea delle illusioni. Enzo Pifferi Editore, 1990) e per Franco Bandini (Le ultime 95 ore di Mussolini. Mondadori, 1959).
Pur criticando il memoriale Kisnat, Fabio Andriola (Appuntamento sul lago. Sugarco, 1990) ha affermato che il capitano tedesco era sul posto al momento del trasbordo mussoliniano sugli automezzi della Luftwaffe. Dello stesso avviso è Eric Kuby (Il tradimento tedesco. Rizzoli, 1983). Luigi Imperatore, invece, da molta importanza al personaggio Kisnat e ne sottolinea tutte le iniziative pro-mussoliniane prese in quel di Musso (I giorni dell’odio. Ciarrapico Editore, 1975). La presenza del Kisnat a fianco del Duce durante le ore che hanno preceduto la sua cattura è ulteriormente garantita (?) da un fatto: l’attore Manfred Freyberger lo ha impersonificato nel film di Carlo Lizzani intitolato “Mussolini: Ultimo atto” (1974).


domenica 21 giugno 2009

Battaglione Bersaglieri Volontari "MUSSOLINI"


Il reparto noto come I° battaglione bersaglieri volontari "Benito Mussolini" si formò a Verona, per iniziativa di Vittorio Facchini, nella seconda decade del settembre 1943, prima ancora cioè della nascita della Repubblica Sociale Italiana. Inizialmente raccolse uomini, ufficiali, sottufficiali e soldati, di disparatissime provenienze, armi e specialità. Nucleo di un certo rilievo tecnico e numerico furono gli uomini del Centro Costituzione battaglioni cacciatori di carro in Verona (colonnello Mario Carloni). Si trattava prevalentemente di sottufficiali e bersaglieri rimpatriati dall'Africa settentrionale prima della battaglia di El Alamein per avvicendamento, quindi soldati esperti e sperimentati. Altro rilevante contributo fu quello di ufficiali, sottufficiali e militari del "Centro tradotte Est" sempre di Verona. Per il resto si trattava di personale raccogliticcio che si era trattenuto nelle caserme dopo lo sfacelo, e prigionieri già in avviamento nei campi di concentramento e che aderirono all'appello del Facchini. Il reparto assunse il nome di Benito Mussolini, anche se, in qualche documento, è definito inizialmente come battaglione volontario delle Waffen SS.Bersagliere Repubblicano

E' possibile che questa dizione decadesse all'atto della costituzione della Repubblica Sociale Italiana. Poichè Verona era sede dell'8° bersaglieri, reggimento scioltosi in Tunisia ed il battaglione si era accasermato nel quartiere tradizionalmente sede dello stesso, il I° battaglione volontari fu considerato I° battaglione di quel reggimento. Nel proseguo di tempo, quando col trasferimento del I° battaglione alla frontiera giulia, a Verona vennero formati il II° battaglione "Goffredo Mameli" ed il III° "Enrico Toti" il raggruppamento assunse il nome di reggimento bersaglieri volontari "Luciano Manara". Ad evitare equivoci è bene verbalizzare che le omonimie nelle forze armate della R.S.I. abbondavano, tanto che a Milano, nel quadro della ricostituzione del 3° reggimento bersaglieri volontari, il XVIII battaglione, quando divenne autonomo, assumendo la numerazione di IV battaglione Difesa Costiera, completò la denominazione con "Luciano Manara", mentre a Genova era dislocato un battaglione bersaglieri "Goffredo Mameli", da non confondersi con quello costituitosi a Verona. Il "Mussolini" è coinvolto in una serie di cambiamenti di nome ed è quindi citato anche come battaglione "Bruno Mussolini" e battaglione "Stefano Rizzardi". Quando nell'ambito del riordinamento generale dell'Esercito della R.S.I., gran parte dei reparti autonomi assunsero la denominazione di battaglioni da fortezza o difesa costiera, il battaglione bersaglieri volontari "Benito Mussolini" divenne ufficialmente XV battaglione "difesa costiera". Il battaglione venne inviato in zona operazioni, cioè nella media Valle Isonzo e Valle Baccia, in due scaglioni il 10 e 14 ottobre 1943.


Articolato dapprima in quattro compagnie di linea ed una compagnia comando, poi in cinque compagnie ed un reparto servizi, tenne la linea ferroviaria Gorizia-Piedicolle dal Km.82 al Km.109, con una serie di distaccamenti dislocati in zona controllata dal nemico. Presidiò inoltre permanentemente Santa Lucia d'Isonzo e, per cinque mesi, Tolmino. Il contingente raccogliticcio iniziale venne gradualmente sostituito da soldati volontari e da reclute delle classi 1924 e 1925 che raggiunsero, quest'ultime, il reparto, nell'aprile del 1944.Dopo alcune incertezze, il battaglione adempi egregiamente ai suoi compiti resistendo alle operazioni nemiche di annientamento effettuate alla fine di giugno del 1944 ed a settembre dello stesso anno, oltre allo stillicidio di 19 mesi di continue azioni di guerriglia, imboscate, attacchi repentini, attentati. La bontà delle prestazioni vanno collegate con lo spirito e l'aggressività che caratterizzavano i suoi componenti, ma anche con il livello dell'armamento. I gruppi da combattimento di compagnia erano molto efficienti per la loro mobilità, la capacità manovriera, l'addestramento, tanto da infliggere costantemente forti perdite al nemico rappresentato dal IX Korpus sloveno. Tale unità schierava non meno di 7-8000 uomini divisi in due divisioni, con 8 brigate e due batterie d'artiglieria, parecchi distaccamenti autonomi, tutti i servizi divisionali. Inoltre i bersaglieri ebbero parte nell'annientamento delle tre brigate componenti la divisione Garibaldi-Natisone quando, nel 1945, la stessa passò alle dipendenze dello Stato Maggiore sloveno. In fase difensiva, la lunghezza della linea e l'esiguità dei presidi poterono reggere perchè il battaglione "Mussolini" disponeva praticamente di cinque compagnie fucilieri che però avevano nei distaccamenti, a loro disposizione, l'armamento suppletivo di tre compagnie mitraglieri (27 armi da 8n-i/m), due compagnie mortai (18 pezzi da 81 mm), una batteria da 2O mm (6 mitragliere Breda) ed una batteria da 25mm (6 pezzi Hotchkiss anti-carro). La forza transitata nel reparto viene valutata sui 2000 uomini, dei quali 90 ufficiali. Questo dato deriva da una testimonianza relativa al libro matricola nell'aprile 1945 ed anche da riscontri su documenti ufficiali. In data 10/2/44 un rapporto del maggiore Faccini, ufficiale di collegamento presso il comando tedesco a Trieste per tutte le forze della R.S.I., denuncia una forza complessiva di 749 uomini (33 ufficiali, 94 sottufficiali, 622 bersaglieri). L'organico, in data 1/8/44, secondo la relazione dello Stato Maggiore Esercito, reca 1299 uomini (39 ufficiali, 98 sottufficiali, 1062 bersaglieri), il che consente di ritenere che il massimo della forza presente fosse stata raggiunta alla fine di giugno, con 1350 uomini. Questa forza corrisponde a quella di tre battaglioni bersaglieri "ciclisti" nel Regio Esercito.


Il 25/3/45 il generale di c.a. Archimede Mischi, ispezionando le forze presenti in Venezia Giulia, verbalizza una forza di 625 uomini fra i quali 105 allievi ufficiali e si può quindi ritenere una ripartizione in 30 ufficiali, 140 sottufficiali, 455 bersaglieri. All'atto della cessazione del conflitto, il 29 aprile 1945, si valuta che consegnarono le armi 560-600 uomini. Poiché non si dispone del libro matricola, dato che la documentazione dei reparti della R.S.I., in linea di massima, è andata perduta, si è costretti a ripiegare su di una analisi per campione. Questo campione è fornito dall'elenco dei Caduti del reparto. Si valuta che il battaglione, dal momento in cui giunse in zona d'operazioni il 10 ottobre 1943 alla data del rientro degli ultimi militari dalla prigionia in Iugoslavia, 26 giugno 1947, abbia avuto fra i 350 e i 400 Caduti, dei quali 324 identificati con un lunghissimo paziente lavoro di ricerca e controllo da parte del "gruppo reduci". Si è ritenuto che questo elenco, nel quale per ogni nome è stato annotato il massimo che si è potuto raccogliere di notizie, possa essere considerato sufficientemente attendibile per una estrapolazione a tutto il reparto. L'elenco è depositato presso l'archivio dello "Istituto Storico della R.S.I." della Cicogna e gli elementi di identificazione sono i seguenti: Nome, Cognome, grado, classe di leva, distretto, categoria di arruolamento (volontari, coscritti, trattenuti alle armi o aderenti dalla prigionia), compagnia di appartenenza, condizione da civile (prestatore d'opera, studente, militare di carriera), data di morte, località, modalità di morte (caduto, ucciso, deceduto), documentazione sulla morte (Elenchi ministeriali R.S.I., Commissariato esumazione salme, cimitero, testimonianza di commilitoni, accertamento presso i familiari, verbali della C.R.I.). Altre notizie di particolare interesse, quando sussistono, sono allegate in calce. 350 Caduti rappresentano il 17% della forza transitata. Per quanto riguarda gli ufficiali, 90 , i Caduti sono 22, pari al 25% della forza transitata. La forza transitata è piuttosto elevata anche se confrontata con la forza massima ed i motivi sono molteplici. Indichiamo fra le cause di perdita di forza le seguenti voci: caduti e dispersi perdurando il conflitto, circa 170, feriti e dimessi per motivi di salute, 350, trasferiti 150, catturati nel mese di ottobre 1943 e che si ritengono rientrati in famiglia 100, disertori verso il nemico 50, assenti per vari motivi alla fine del conflitto, 50. I 500 che mancano a completare il conteggio sono catalogati sotto la dizione "assenti arbitrari", l'80% dei quali transitati ad altri reparti della R.S.I. I maggiori beneficiari di questo travaso, che in effetti era tollerato, furono il II battaglione dello stesso reggimento, "Mameli" che operava sul fronte Sud, la Xa Flottiglia MAS, le Brigate Nere territoriali.


Il 45% dei caduti perirono prima del termine del conflitto, ma di questi, solo il 37% poterono avere una sepoltura formale, mentre per l'aliquota restante, come sempre avviene nella guerriglia, l'esatta dizione dovrebbe essere "dispersi" e quindi il luogo dell'inumazione è ignoto. Il 55% cadde posteriormente al 30 aprile 1945 quando i superstiti deposero le armi, per complessivi 175-180 soldati, 88 dei quali fucilati nei dieci giorni successivi alla cattura, 19 uccisi durante tentativi di fuga od in prigionia mentre di 65 è accertato il decesso per malattia durante la cattività. La estrapolazione da elenco Caduti consente di affermare che il 67% del reparto era formato da volontari, l'11% da bersaglieri levati con i bandi "Graziani", mentre il 2% era formato da elementi già alle armi l'8 settembre 1943. Abbiamo detto che caddero complessivamente 22 ufficiali. Dei 32 che formavano i quadri del battaglione il 30 aprile, 16 vennero uccisi, pari al 50%, dei quali 13 a Tolmino, 2 durante un tentativo di fuga, 1 al rientro dalla prigionia. Nessun ufficiale venne ucciso o morì per malattia durante la prigionia in Iugoslavia. Per quanto riguarda l'ambiente di provenienza dei militari, il 59% erano lavoratori (contadini, operai, impiegati), il 36% studenti, il 5% militari di carriera. Se si considera separatamente il gruppo degli ufficiali, fra di loro i militari di carriera raggiungevano il 10%. Nell'analizzare i volontari che come detto coprivano il 67% della forza, si constata come il 13% degli stessi fossero studenti universitari, il 32% studenti delle scuole medie, il 53% lavoratori, il 2% militari di carriera. In primissima approssimazione, accettato il fatto che i volontari che militarono nel reparto furono 1340, di questi 174 erano studenti universitari, 428 studenti delle medie, 26 militari di carriera e 712 lavoratori.


Bersaglieri del "Mussolini"


Per quanto riguarda la provenienza geografica degli uomini, il 29% degli stessi erano veneti, il 18% emiliani, il 13% giuliani, l'l 1 % lombardi, il 5 % piemontesi, mentre il 24% rimanente era ripartito fra tutte le altre regioni. Da quanto sopra si può dedurre che i giuliani presenti, prevalentemente triestini, furono circa 260. L'ultima nota riguarda l'età dei componenti il battaglione. Solo il 2% aveva superato i 40 anni ed il 7% era compreso nella fascia fra i 30 ed i 40, il 21% era fra i 23 ed i 30 anni. I bersaglieri di 21 anni erano il 12 %, quelli di 20 il 19%, quelli di 19 il 19%, quelli di 18 il 9%, per finire con il 4% di 17 anni.

mercoledì 3 giugno 2009

FORZA NUOVA, INSIEME PER L'EUROPA

FORZA NUOVA, INSIEME PER L'EUROPA

Forza Nuova si é candidata su tutto il territorio nazionale con il proprio simbolo, i propri uomini e le proprie donne. A causa di un'assurda e pretestuosa interpretazione della legge, il Tribunale di Palermo ha escluso Forza Nuova dalle elezioni nella circoscrizione delle Isole. Questa oscura decisione che contrasta esplicitamente con l´interpretazione data dal Ministero e dagli altri 4 Tribunali delle relative circoscrizioni è oggetto di ricorso al TAR del Lazio.Forza Nuova apre quindi ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni europee e per le amministrative del 6-7 giugno. Da questa settimana parte in tutta Italia la grande mobilitazione nazionale che toccherà i temi forti e storici del movimento sull'Europa, senza dare minor valore alle istanze locali.
Sottoponiamo alla vostra attenzione alcune tra le più rilevanti battaglie politiche che stiamo portando avanti e per la quale ci siamo battuti al Parlamento Europeo.
1) Forza Nuova è contro l'ingresso della Turchia in Europa perché a) crea un enorme enclave mussulmana che potenzialmente si estenderebbe sino alle repubbliche asiatiche turcofone che vantano un diritto inalienabile ad essere turche e quindi, nel caso di una sciaugurata entrata della Turchia in Europa, europee.
b) tradizionalmente la Turchia è stata sempre alleata dei nemici d'Europa ed oggi vanta una stretta amicizia con USA e Israele.Gli Usa spingono per l'ingresso della Turchia nell'Unione, interessati ad avere un alleato-complice in qualità di fattore destabilizzante per il rafforzamento politico del vecchio continente.
c)L'arrivo della Turchia rappresenterebbe la fine dell'Europa per come l'abbiamo conosciuta negli ultimi 3mila anni. Dal punto di vista del mercato del lavoro e delle strutture sociali, in questo particolare momento di crisi (attualmente, 76 milioni di cittadini UE vivono al di sotto della soglia di povertà, definita come il 60% del reddito medio del paese, e 36 milioni di persone sono a rischio di povertà) la Turchia danneggerebbe lo stato già molto precario della nostra economia e delle nostre garanzie sociali.
Solo Forza Nuova dice NO ALLA TURCHIA IN EUROPA: Pdl e Pd sono favorevoli.
2) Forza Nuova vuole il recupero di un' Europa Cristiana nella sua visione del mondo e nella sua concezione della vita e del destino degli uomini. Romana per la concezione giuridica e nella sua visione delle relazioni fra i popoli, Greca nella formazione del pensiero e nella ricerca della verità. Pertanto rigetta la visione agnostica laicista o massonica, che il nostro continente ha sempre ripudiato e che la lobby oligarchica composta dai vertici dell'Ue promuove quotidianamente.
3) L’attuale maggioranza politica nell’Unione Europea sostiene una globalizzazione economica di stampo neoliberista, la quale ha prodotto un forte incremento delle diseguaglianze sociali e della povertà, con parallela retromarcia delle forme di assistenza sociale per i cittadini indigenti.
Forza Nuova ritiene che in questo momento di grande crisi socio economica si debba dare una risposta forte e radicale partendo da:
a) emissione del denaro non più dalle banche e a debito ma da parte degli Stati europei e a credito. L´emissione del denaro è una delle più importanti espressioni di Sovranità, dobbiamo riapproppiarcene.
b) Innalzamento delle dogane per tutti quei beni che vengono già prodotti in Europa. Protezione dell´agricoltura e delle piccole imprese.
c) rilancio dell´agricoltura in un vera e propria reimpostazione dell'economia europea che vada in direzione della totale autosufficienza alimentare del popolo italiano e dei popoli europei.
d) A partire dalla stipula del trattato di Maastricht, le condizioni lavorative dei popoli europei sono peggiorate: precarietà, salari bassi, orari di lavoro insostenibili, disoccupazione. Il dumping sociale e la precarietà vanno combattuti. Vanno rilanciate l'occupazione e la vera economia. in special modo quella legata alle prime necessità della vita (agricoltura, edilizia e manifatturiero):mentre va eliminata una volta per tutte l´idea di una economia finanziaria astratta e usuraia, che sostituisce il duro lavoro e la sana creatività. Va creata in Europa una soglia di sussitenza, in linea con quei principi sociali che hanno reso giusta e forte la nostra Civiltà.Una soglia che permetta a tutte le famiglie di non vivere nell´indigenza, a tutti i malati di potersi curare e a tutti i bambini di poter usufruire di una buona educazione scolastica.
Forza Nuova ritiene, assieme ai suoi storici alleati Europei, di essere l´unica forza con i suoi uomini e le sue idee capace di inidirizzare l´Europa verso un destino di Forza , di Grandezza e di Liberta´.
On Roberto Fiore

L’ON FIORE AL PARLAMENTO EUROPEO

L’ON FIORE AL PARLAMENTO EUROPEO

L’On. Roberto Fiore ha concluso il suo corrente mandato di parlamentare europeo, con tre interventi,durante l’ultima sessione dell’assemblea di Strasburgo che sintetizzano le posizioni di Forza Nuova in vista delle imminenti elezioni europee.Per quel che riguarda il Trattato di Lisbona, Fiore ne ha evidenziato le radici oligarchie, la conformista ideologia della “correttezza politica” che anima le sue pagine di astruso e burocratico linguaggio, l’impostazione centralistica e giacobina, figlia dei controvalori relativistici e massonici e il suo totale distacco da ogni principio di ordine superiore, etico o spirituale. Gli europei vedono in questo trattato la frustrazione dell’ansia di libertà dei corpi sociali intermedi, la negazione di ogni valore di organica sussidiarietà e la mancanza assoluta di riferimenti alle radici cristiane e romane del nostro continenete.
Successivamente, è intervenuto sulla proposta di ammissione all’U.E. della Turchia mettendo in luce la contraddizione di chi dice voler difendere l’ identità nazionale e poi si adopera affinché 90 milioni di turchi abbiano libero accesso sulle nostre terre. In nessuna considerazione vengono tenuti il dramma per i nostri lavoratori per questo nuovo influsso di lavoro a basso costo e per i nostri agricoltori per l’invasione di prodotti turchi a basso costo sui nostri mercati.Fiore ha poi partecipato all’ ultima riunione della Commissione sui rapporti con la Bielorussia, sollevando il problema di migliaia di italiani che intendono proseguire il programma di adozione di bambini bielorussi e opponendosi, anche, con successo, al tentativo di inserire la Bielorussia in nuovo “asse del male”.Fiore ha infatti affermato: “Come si può sostenere l’ entrata della Turchia in Europa quando da questo Paese ci vengono notizie di 15mila minori in carcere, o 400 attivisti arrestati la settimana scorsa e di tanto in tanto la notizia di qualche sacerdote o missionario arrestato. Nel caso della Bielorussia, invece, abbiamo davanti la figura di un Presidente ricevuto con tutti gli onori dal Santo Padre e, nella cui nazione, si ha notizia di solo due prigionieri politici”.In questi interventi. Fiore ha delineato quelli che per FORZA NUOVA sono i veri confini dell’ Europa e i principi generali che la dovrebbero informare secondo la dottrina forzanovista.

venerdì 22 maggio 2009

COS'HANNO DETTO DI MUSSOLINI I GRANDI UOMINI DEL NOVECENTO


Molti sono stati i grandi uomini del Novecento. Il secolo scorso ci ha regalato un numero ingente di personaggi che hanno segnato il destino del mondo. Tra di essi, indiscusso protagonista, Benito Mussolini che ha segnato per oltre 20 anni la storia della nazione italiana. E' quindi importante sapere ciò che di lui dicevano i suoi contemporanei e così constatare l'ammirazione di cui il Duce d'Italia godeva in tutto il mondo.


Pio XI
"Costui è l'uomo della Provvidenza" (giudizio condiviso da Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, il "papa buono")


Pio XII
"il piu' grande uomo da me conosciuto, e senz'altro tra i piu' profondamente buoni"


M. K. Gandhi
"un superuomo"


Thomas Mann
"un semidio"


Sigmund Freud
"un eroe della Civiltà"


Winston Churchill
"il piu' grande legislatore vivente"


Thomas Alva Edison
"il piu' grande genio dell'età moderna"


Massimo Gorky
"un uomo di intelligenza superiore"


Lloyd George
"Un Uomo che desta ammirazione anche tra i suoi nemici, e che ogni giorno detta leggi circa il modo di governare i popoli in momenti difficilissimi"


Stanley Baldwin
"non vi sono in Europa uomini di eccezione come Mussolini"


Samuel John Gurney Hoare
"Mussolini e' il massimo statista dell'Europa moderna"


Josif Vissarionovic Dzugasvili (Stalin)
"con la morte di Mussolini scompare uno dei più grandi uomini politici cui si deve rimproverare solamente di non aver messo al muro i suoi avversari"


Igòr Stravinskij
"Mussolini e' un uomo formidabile. Non credo che qualcuno abbia per Mussolini una venerazione maggiore della mia. Per me Egli e' l'unico Uomo che conti nel mondo intero"


George Bernard Shaw
"Mussolini non e' soltanto un uomo, ma una situazione storica"


Ezra Pound
"Jefferson fu un genio, e Mussolini un altro genio"


Herbert George Wells
"Mussolini ha lasciato il suo segno nella storia"


Adolf Hitler
"Un uomo che fa la storia, non la subisce. Mussolini è l'ultimo dei cesari"


Rudyard Kipling
"Vogliategli bene sempre, con un affetto costante; pensate che per l'Italia Egli e' tutto"


Roald Engelbreth Amundsen
"Soltanto Napoleone può paragonarsi a lui"


Alexis Carrel
"Cesare, Napoleone, Mussolini: tutti i grandi conduttori di popoli crescono oltre la statura umana"


Guglielmo Marconi
"Rivendico l'onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l'utilita' di riunire in fascio i raggi elettrici, come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessita' di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d'Italia"


Luigi Pirandello
"Mussolini recita, da protagonista, nel teatro dei secoli"

domenica 10 maggio 2009

FASCIO, DISCIPLINA E PATRIA !

Poesia
SOLO IL FASCIO
EVITO’ LO SFASCIO !

SOLO IL DUCE
PORTO’ LA LUCE !

SOLO IL REGIME
L’UOMO REDIME !

ONORE E DISCIPLINA
PATRIA E LAVORO,

FURON GLI INGREDIENTI
DELL’ITALIA D’ORO.

PARTIGIANI, LADRI E BRIGANTI
SONO I MALVIVENTI DI OGGI, PENTITI O LATITANTI !

DEMOCRATICI E FALSI MORALISTI
ECCO A VOI I NOSTRI BRAVI COMUNISTI !

E NON SCHERZAN NEPPURE I NUOVI UOMINI DI DESTRA
CHE FANNO DELLA POLITICA UNA MINESTRA.

SONO STATI IN GRADO CON UN COLPO SOLO
DI CANCELLARE PAGINE DI STORIA
E DI RIPRENDERE IL POTERE AL VOLO …

MISERIA, INGIUSTIZIA E DISONORE
PER L’ ITALIA DELL’ IMPRENDITORE.

UOMINI POLITICI CHE CON SACRIFICI ALTRUI
PORTANO L’ITALIA AI PERIODI BUI.

EUROPA UNITA GRIDARONO, ED A QUALSIASI COSTO
PER UN’ITALIA DA ULTIMO POSTO.

PER UN’ITALIA TASSATA E SENZA LAVORO,
MA PER LE LORO TASCHE TANTE MONETE D’ORO !

UN TEMPO L’ITALIA ERA RICCA, FORTE ED ORGOGLIOSA
DI VIVERE IL SUO TEMPO IN UN’EPOCA MERAVIGLIOSA.

LAVORO PER TUTTI, RISPETTO PER LA FAMIGLIA
E CHI NON CONDIVIDEVA ERA UNA CANAGLIA.

QUELLA CANAGLIA CHE SE UNA DONNA OSAVA MOLESTARE
FINIVA MALE E NON COME OGGI LIBERO DI GIRARE …

LA GUERRA C’E’ STATA, SON MORTI IN PARECCHI
DONNE, BAMBINI, GIOVANI E VECCHI.

IL MONDO INTERO DA SEMPRE HA COMBATTUTO AGGUERRITO,
MA OGGI SI RICORDA SOLO LA GUERRA FATTA DA BENITO !

ANCHE PERCHE’ AI POLITICI D’OGGI CONVIENE RICORDARE
SOLO IL MALE CHE HA FATTO E NON IL MALE DA CURARE !

QUEL MALE CHE SI CHIAMO’ MALARIA, PESTILENZA E CARESTIA
DOVE IN AFRICA EGLI CURO’ CON GRANDE MAESTRIA !

IL NEGUS STESSO, REGNANTE IN QUEI TERRITORI
LO ACCOLSE ALLORA CON TUTTI I DOVUTI ONORI.

RICONOBBE IN LUI UN SALVATORE ED UN GRANDE UOMO,
RICEVENDO CHININO ED ALTRE CURE IN DONO.

BONIFICO’ PALUDI E PORTO’ L’ACQUA E LA CIVILTA’,
COSTRUI’ SCUOLE, OSPEDALI PER QUELLA COMUNITA’.

MA TANTO CHE IMPORTA AI MORALISTI VERI
SE IL DUCE AIUTO’ I POPOLI NERI.

IL MONDO INTERO LO GIUDICO’ RAZZISTA
SPECIE IL COMUNISTA VESTITO DA FALSO PACIFISTA.

MARCIO’ CONTRO DI LUI MANIFESTANDO E DIMENTICANDO,
I SOPRUSI FATTI AL POPOLO RUSSO DAL SUO STESSO COMANDO.

QUEL COMANDO CHE SI CHIAMAVA KGB O KREMLINO
CHE NULLA AVEVA DA INVIDIARE AL MURO DI BERLINO.

SCIENZIATI COSTRETTI A LAVORARE SEGREGATI
TENUTI IN OSTAGGIO, LONTANI DAI CARI PICCHIATI E VIOLENTATI.

A COSTO DI UNA FORMULA O DI UN ESPERIMENTO
ED UNA VITA VISSUTA CON DEPLOREVOLE SGOMENTO.

E SI’ PERCHE’ LA VERITA’ VIEN SEMPRE A GALLA
ANCHE SE SI PREFERISCE SEMPRE QUELLA DELLA “BALLA”

OVVERO LA BALLA DEL “DITTATORE”
CHE FU L’UNICO DEL MONDO “IL VERO DISTRUTTORE” !

POESIE


O' Duce

O’ Duce
Che ormai sei lontano
Quanto vorrei
Stringerti la mano

O’ Duce
Con te al mio fianco
Sereno io sarei
E per nulla stanco

O’ Duce
Che riposi in paradiso
Tanta gente ricorda
Il tuo caratter deciso
O’ Duce
Fa ch’il tuo spirito viva
In questa terra
Di valor ormai priva

O’ Duce
Con gioia e con gloria
Vivrai per sempre
Nella nostra memoria

O’ Duce, A noi!
O’ Duce, A noi!


Sera d'estate

Sulle acque marine
già veglia la rossa luna.
E' quasi buio quando penso a te.
Sulle acque,
il tuo viso par riflettersi
in un'eterna nostalgia di te.

Il rumor delle onde
si confonde col mio pianto
e il ricordo di non averti qui.

In un tratto è già buio.
Tu sei andato via, scomparso,
ma per sempre
nel mio cuore vivrà il tuo ricordo.

Alzo gli occhi al cielo,
vedo una stella,
brilla come nessun'altra.

Non è un sogno,
è il mio Duce che,
dall'alto dei cieli
veglia su me
come la luna sul mare


Al grande uomo

Al grande uomo che regnò giustamente
usando il coraggio ma innanzi a tutto la mente
Moltitudini di gente ti vennero in aiuto
ma un tuo fratello ti volle venduto.
Hai abbracciato una sorte crudele ma al tuo ideale sei rimasto fedele.
Di cuore in cuore il tuo ricordo stà
come il marchio di un timbro a fuoco che mai si
cancellerà.

CLAMOROSO SONDAGGIO SUI CAPI DI STATO PREFERITI DAGLI ITALIANI: VINCE "BENITO MUSSOLINI"


SEGUONO DE GASPERI, TOGLIATTI, BERLINGUER, CRAXI, CARFAGNA, BRUNETTA… BERLUSCONI SOLO OTTAVO… FINI COMMENTA: “IO L’AVEVO DETTO”

Gli italiani, in effetti, sono strani, saranno anche volubili, amano la provocazione, ma di fronte al sondaggio commissionato dalla rivista “Quaderni di storia ligure”, una rivista che si occupa da anni di analisi storiografica, con particolare attenzione alla storia medioevale e contemporanea, che ha posto un campione rappresentativo di 2.000 italiani, con metodo telem. A4, a cura dell’Istituto di ricerca Icarus, di fronte a un ventaglio di nomi di statisti noti, ponendo la domanda: “Quale di questi uomini di Stato, presenti o passati, ottiene il suo maggiore gradimento ?”, hanno risposto in modo imprevedibile.

Chi si aspettava prevalessero i politici attuali è rimasto deluso, i primi cinque sono tutti appartenenti al passato. Ma è clamoroso il primo posto assegnato dagli italiani a Benito Mussolini con la motivazione delle “conquiste sociali” ottenute negli anni del consenso che avevano portato l’Italia all’avanguardia nel mondo.Segue con due punti di distacco il padre della patria Alcide De Gasperi, poi la carismatica figura di Palmiro Togliatti, e ancora Enrico Berlinguer e Bettino Craxi.Sesto posto a sorpresa, anche se parecchio distaccata, per Mara Carfagna che batte per un tornello il ministro Brunetta, primi esponenti del governo in carica, reduci da ottima accoglienza al congresso del Pdl.

Sorprendente l’ottavo posto per il premier Silvio Berlusconi, un risultato inferiore alle attese, ma sicuramente penalizzato dalla dispersione dei voti su personaggi altrettanto celebrati. Seguono poi altri big come Giulio Andreotti, Gianfranco Fini ( che ha commentato: “L’avevo detto io che era il migliore statista del secolo” ), Massimo D’Alema, Casini, Bossi e Alemanno.

martedì 5 maggio 2009

LETTERA AL GAZZETTINO DI UN " COMBATTENTE DELL'ONORE "

Ex ragazzo di Salò
ho combattuto
per amor di Patria

Sono un ex "ragazzo di Salò"; volontario nella Repubblica Sociale Italia. Nel 1943 avevo diciotto anni. Cresciuto durante il Regime fui educato fin da bambino all’Amor di Patria: qualcosa che i giovani d’oggi ignorano completamente. Ricordo quando in piazza San Marco venivano issate le bandiere tricolori sui pennoni antistanti alla Basilica: ci si irrigidiva sull’attenti col braccio alzato pervasi da un senso di emozione, di orgoglio, di Italianità. Quando alle manifestazioni veniva suonata la Marcia Reale e l’inno di "Giovinezza" sentivamo qualcosa di indefinibile che ci esaltava ci faceva sentire orgogliosi di essere italiani. È con questo spirito che dopo "l’otto Settembre" noi giovani ci sentimmo ribollire il sangue per il tradimento che aveva subito la nostra amata Patria. Volevamo combattere contro il nemico anglo-americano che con bombardamenti indiscriminati aveva distrutto le nostre città uccidendo decine di migliaia di nostri fratelli inermi. Studente del penultimo anno dell’Istituto Nautico non esitai a sospendere gli studi per arruolarmi volontario nella "X Flottiglia Mas". Purtroppo non potei soddisfare il mio desiderio di far parte dei mezzi d’assalto della Marina per contigenti esigenze belliche.

Comunque trasferito al battaglione "San Marco" accettai con entusiasmo questo cambiamento di reparto. Fui inviato in Germania per un addestramento che durò due mesi. Rientrato in Italia fui assegnato al reparto di artiglieria a difesa della costa ligure. Mi salvai miracolosamente da un bombardamento di fortezze volanti americane che distrusse gran parte dei cannoni della mia batteria e fece un gran numero di morti. La lotta impari contro la strapotenza degli alleati rese vani i nostri sacrifici e ci portò alla disfatta: una onorevole resa che mi costò sei mesi di campo di concentramento a Coltano. Molti di noi si sacrificarono in una lotta che divise l’Italia in "Buoni e Cattivi", combattenti in fronti opposti. Chi erano i "buoni"? Chi erano i "cattivi"? Credo che entrambi avevamo degli ideali a prescindere dalla ideologie. Il 7 ottobre 1945 fui liberato dal campo di concentramento e potei ritornare a casa. Ripresi gli studi interrotti: avevo perso due anni. La mia è stata una scelta giusta o sbagliata?... Non mi pento, perché in coscienza credo di aver fatto il mio dovere da vero italiano. Non ho rimpianti: ho agito per Amor di Patria.