domenica 4 ottobre 2009

NICOLINO BOMBACCI (1879-1945)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO


NICOLINO BOMBACCI (1879-1945)

Come poter cominciare una storia su Nicola Bombacci, come poter introdurre e spiegare in un breve articolo la vita così intensa ed appassionata del più anomalo stretto collaboratore di Mussolini durante quei giorni goliardici della RSI?

Pochi di voi avranno mai sentito nominare il suo nome, nessuno, fuori dalla destra sociale ha la benché minima idea di chi sia questo personaggio. La risposta è che sono state gettate su di lui non solo le poche spanne di terra con le quali venne ricoperto il suo corpo straziato dopo l’infamia di Piazzale Loreto, ma egli fu condannato alla Damnatio memoriae da parte di tutto il mondo comunista e della sinistra in generale, in quanto egli è estremamente imbarazzante per quel mondo, e non solo. La sua figura e la sua storia sono la prova lampante che l’unico socialismo mai realizzato in Italia porti la firma di Benito Mussolini.

Quando gli uomini del così chiamato "Colonnello Valerio" consegnarono alla stampa l’elenco dei morti esposti a Piazzale Loreto, nell’ultima riga spuntava il nome del più sconosciuto fra i poveri corpi che subirono quello strazio, ossia Nicola Bombacci- SUPERTRADITORE.Cosa poteva aver mai fatto per meritarsi tale titolo, per meritarsi il silenzio, l’oblio del mondo politico tutto?

Nicola Bombacci era nato il 29 Ottobre 1879 a Civitella di Romagna, vicinissimo a Predappio, da una famiglia di coltivatori molto legati alla dottrina cattolica. Nicola crebbe in un ambiente perciò molto religioso, frequentò la scuola della parrocchia , e nel 1895, andò in seminario. Lasciò quella scuola nel 1900 e non rinnegò mai, nel suo cuore, gli insegnamenti cristiani di carità ai poveri e di servire gli oppressi, anche quando, da leader social-comunista faceva il mangiapreti e sfidava apertamente Dio e la chiesa. Nel 1903, ancora studente, si iscrisse al partito socialista, e diventò un convinto attivista , la sua abile retorica e la sua foga gli fecero strada nel campo politico aprendogli le strade per le più alte cariche di partito. Da notare sono le coincidenze che uniscono in modo così stretto Mussolini e Bombacci, così diversi, ma molto simili. Entrambi romagnoli, entrambi socialisti, entrambi maestri elementari, l’uno fondatore del partito fascista, l’altro del partito comunista, l’uno donnaiolo, l’altro monogamo, l’uno rissoso e cercaguai, l’altro timido e diplomatico. Due nemici amici, che, anche nei giorni dello squadrismo e durante il ventennio non smisero mai di provare profonda simpatia l’uno per l’altro. E durante i giorni della RSI tornarono assieme, come ai vecchi tempi, in nome di una socializzazione che si sarebbe potuta realizzare solo ora, solo ora che il fascismo si era depurato dalle plutocrazie monarchiche e borghesi che avevano cercato di sopprimere i grandi ideali sansepolcristi del ’19.Come abbiamo già detto Nicola Bombacci divenne una vera personalità nel mondo socialista romagnolo ed emiliano in seguito , fu a capo della sezione di Modena del partito socialista negli anni 1914-1915. Divenne rappresentante della corrente rivoluzionaria del PSI , che si opponeva ai moderati guidati da Turati , appoggiò le rivolte dei braccianti contro i mezzadri e, dopo la rivoluzione russa, come guida della delegazione italiana in unione sovietica in occasione dell’Internazionale, come membro del Comintern, e conoscente personale di Lenin, divenne l’”UOMO DI MOSCA”, il fidato fiduciario della Russia bolscevica in Italia. Nel 1921 assieme a Gramsci, fu fautore della scissione dal PSI da cui nacque in PC D’I, Partito Comunista d’Italia. Ma ormai, la fiducia di Mosca nei suoi confronti cominciò a diminuire, la sua influenza nel mondo politico italiano a spegnersi. Lenin stesso gli rimproverò : ”In Italia c’era un solo uomo capace di compiere la rivoluzione, Mussolini, e voi ve lo siete lasciati scappare”. Bombacci si rese conto ben presto che il partito comunista era una cloaca di intellettuali e filosofi che nulla sarebbero stati capaci di compiere.
Egli era il nemico numero uno degli squadristi del ‘20 e ’21, uno stornello dell’epoca diceva “ Me ne frego di Bombacci e del sol dell’avvenir, con la barba di Bombacci faremo spazzolini, per lucidar le scarpe a Benito Mussolini”; con forte derisione della lunga barba biondo scuro che teneva Nicola Bombacci.

Nicola era un comunista anomalo, e la sua rottura morale con il partito la si ebbe nel suo discorso al parlamento del 30 Novembre 1923, giorno in cui si discusse l’apertura dei commerci italiani con l’URSS. Bombacci parlò a nome della Russia in favore di questo patto, fece un discorso pieno di patriottismo verso l’Italia e parlò persino di “Unire le due rivoluzioni, quella bolscevica e quella fascista, entrambe antiborghesi, per una comune lotta contro le plutocrazie capitaliste”. Alla fine del suo discorso il deputato fascista Giunta gridò : ”Onorevole Bombacci, c’è una tessera fascista pronta per lei”.

Ciò che allontanò definitivamente Bombacci dal comunismo filosovietico, fu la svolta stalinista presa dopo i funerali di Lenin, a cui egli stesso partecipò. Dopo l’allontanamento dal comunismo anche in Italia, cadde in miseria. Era povero, realmente, era comunista, tenuto d’occhio dalle autorità, come “Elemento sovversivo”. Si sa che Mussolini intervenne sempre, in segreto, affinché non gli venisse torto un capello, durante gli anni dal 24 al 42. Anzi, nel 1930 si sa che Bombacci scrisse una lettera al Duce in cui gli spiegava la sua miseria. Mussolini gli procurò il lavoro, come responsabile dell’importazione di prodotti agricoli e del grano dalla Russia, risollevando le sue condizioni economiche. Nel 1936 gli permise persino di pubblicare una rivista, la “Verità”, di stampo chiaramente comunista, che ebbe un alto successo. Questo per coloro che vanno predicando la “Terribile persecuzione contro la libertà di stampa perpetuata dai fascisti”. Nicola Bombacci si avvicinò sempre di più al fascismo anche se non arrivò mai a definirsi tale.

L’8 Settembre 1943 Bombacci era a Roma e visse le tribolazioni nell’ombra, scrutando gli avvenimenti con attenzione. Quando sentì Il suo amico Mussolini parlare di “Repubblica SOCIALE italiana “ ebbe un moto nell’animo che lo spinse al nord, vicino al suo amico, nella ricerca di quella repubblica socialista che aveva tanto sognato.L’ arrivo di Bombacci come collaboratore giunse a Mussolini come una pioggia fresca dopo mesi passati nel deserto. Passavano serate assieme passeggiando sulle rive del lago, Bombacci girava per le città parlando ai lavoratori, infiammando le piazze, chiamandoli con una parola che era stata tabù per vent’anni ”Cari compagni, a cui aggiungeva un Cari camerati”. I lavoratori lo amavano, anche se sia lui che loro sapevano che ormai era troppo tardi. Catturava la simpatia dei fascisti salendo sul palco fischiettando “Me ne frego di Bombaci e del sol dell’avvenir” : “Eccomi quà”.Nicola Bombacci fu il fautore, assieme a Mussolini e a Angelo Tarchi, della legge sulla socializzazione , approvata il 12 Febbraio 1944. Questa legge rivoluzionava l’intero sistema borghese dell’epoca.

Conteneva norme sulla statalizzazione di molte grandi aziende, norme sulla nomina del sindacato, l’assegnazione degli utili ai lavoratori ecc. Ai tedeschi questa norma non piacque affatto, ma al momento avevano altro a cui pensare. I fronti stavano retrocedendo pericolosamente verso i confini della Germania, e poi vi era il problema della deportazione degli ebrei, enormemente frenata in Italia grazie alla RSI.

Si sa che la massa ormai era arrabbiata con i fascisti. Gli operai ormai erano già stati indottrinati da un anno dai membri del CLN, e purchè applaudissero Bombacci, quando votavano alle urne per eleggere i rappresentanti del consiglio di gestione aziendale, venivano eletti Greta Garbo o Henry Ford.

Si giunse infine al fatidico Aprile 1945. Verso sera, nel cortile della prefettura di Milano vi è un gran fuggi fuggi. Uomini si tolgono le divise e si vestono in borghese, molti documenti vengono bruciati. La macchina con Mussolini era già pronta, Nicola voleva seguirlo fino in fondo. Il piano era di raggiungere Como, e poi la Svizzera o il Brennero. Probabilmente anche loro sapevano che non sarebbe stato possibile. Nicola Bombacci salutò con cordialità e con il suo solito umorismo romagnolo Vittorio Mussolini, e gli altri, mostrando una serenità che, in quella situazione, dava coraggio.

La presenza di Mussolini e Bombacci nella colonna tedesca fu poi scoperta a Dongo grazie al tradimento dei crucchi che rivelarono tutto in cambio della possibilità di proseguire il viaggio verso casa. Oltre a Bombacci e Mussolini furono arrestati Barracu, Zerbino, Pavolini, Casalinovo, Utimpergher e altri. Pavolini sapeva di non avere speranze di vita. Egli era il capo delle brigate nere, il corpo che più duramente contrastò la guerriglia partigiana e che inflisse le più dure perdite alle brigate Garibaldi. Gli altri fra cui Bombacci, avevano speranza di vita, in fondo non avevano fatto nulla in particolare. Eppure la sentenza di morte arrivò indiscriminatamente per tutti.

Furono fucilati a Dongo, sul lungolago. Anche prima della fucilazione, Bombacci continuò a fare battute di spirito, e quando le decine di colpi di mitra gli vennero scaricate addosso, prima di morire gridò “Viva Mussolini, viva il socialismo”.Questa fu la vita del supertraditore. Quest’ uomo rappresenta per tutta la destra sociale e proletaria quella terza via che a lungo siamo andati cercando, e che potremmo trovare, forse, guardando con occhi sinceri e cuore onesto la vita di quel maestro elementare romagnolo la cui esistenza ed esecuzione sono prove lampanti che si può uscire dagli schemi, che esiste un’altra strada, fra il marxismo, il liberalismo e le varie dottrine affariste del centro. Basta porsi con fede di fronte ai sentimenti del proprio cuore, per vederla, e per cercare di inseguirla. Lui ha pagato con la morte questa scelta, facciamo in modo che il suo sacrificio non sia stato vano.

(1879-1945)

giovedì 1 ottobre 2009

MICHELE BIANCHI (1883-1930)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO

MICHELE BIANCHI (1883-1930)

Padre del Sindacalismo Fascista, fu Quadrumviro in rappresentanza di tale ala del Fascismo. Organizzatore brillante ed esperto dei lavori pubblici, morì prematuramente, ricordato da tutti come eccellente e zelante Ministro.


Nato il 22 luglio 1883 da Francesco e Caterina a Belmonte Calabro, nel Cosentino, frequentò il liceo a Cosenza, e a Roma si iscrisse alla facoltà di legge. Per dedicarsi all'attività politica, lasciò gli studi e divenne redattore dell'Avanti e dirigente dell'Unione Socialista Romana. Nell'aprile del 1904 partecipò a Bologna al congresso socialista come delegato ed esponente della fazione sindacalista. A metà del 1905, resosi ormai acuto il contrasto tra i sindacalisti e il resto del partito, si dimise dall'Avanti, allora diretto da Ferri, assieme ad altri redattori, motivando la decisione in un articolo sul Divenire Sociale del giugno 1905 che può essere considerato uno dei manifesti fondamentali del sindacalismo italiano.

Il 1° luglio 1905 Michele Bianchi assunse, per qualche mese, la direzione di Gioventù Socialista (organo della Federazione Nazionale Giovanile Socialista) organizzando una vasta campagna antimilitarista. Per tale fatto, fu deferito all'autorità giudiziaria e condannato. Nel dicembre si trasferì a Genova, come segretario della locale Camera del Lavoro, e assunse la direzione di Lotta Socialista. L'acquisizione della nuova carica comportò la creazione a Genova di un'altra Camera del Lavoro da parte dei socialisti antisindacalisti, frutto dell'estrema tensione a cui era ormai pervenuta anche all'interno del movimento operaio locale la lotta di fazione. In questa situazione Bianchi svolse sin dall'inizio un'intensa attività giornalistica ed organizzativa per conquistare alla corrente sindacalista l'egemonia sul proletariato locale, e diresse, per tutto il 1906, numerose agitazioni. Il Bianchi ebbe una parte di qualche rilievo al congresso socialista di Roma dell'ottobre 1906 dove propose un ordine del giorno antimilitarista, nettamente bocciato. Egli denunciò quindi i limiti della politica antimilitarista del partito socialista, rivolta unicamente alla riduzione delle spese improduttive. Come segretario della Camera del Lavoro di Savona, dove si era trasferito, Bianchi diresse numerose lotte rivendicative e di protesta locali, alcune coronate da successo. Ebbe inoltre una parte di rilievo nelle vicende che condussero alla scissione dei sindacalisti dal partito socialista, avvenuta prima al congresso giovanile socialista di Bologna nell'aprile 1907, e poi al primo congresso sindacalista tenuto a Ferrara nel luglio dello stesso anno. A Ferrara si trasferì per qualche mese nel 1907, per riorganizzare le file del movimento sindacale in un vero e proprio Partito Sindacalista, indebolito però dall'arresto di numerosi dirigenti locali in seguito allo sciopero del marzo-giugno nell'Argentario. Nel maggio del 1910 Michele Bianchi tornò a Ferrara, assumendo la carica di segretario della Camera del Lavoro e la direzione del periodico La Scintilla, che mantenne fino alla metà del 1912. Convinto assertore dell'unità proletaria almeno a livello locale, egli si prodigò a rinsaldarla anche sul piano politico, riuscendo a ricostituire una lista unica tra sindacalisti e socialisti per le elezioni arnministrative del 1910. Nel dicembre del 1910, fu tra i protagonisti del secondo Congresso sindacalista di Bologna con un ordine del giorno contrario alla pregiudiziale antielettorale, che fu respinto perché ritenuto non rispondente al genuino spirito sindacalista. Il Bianchi annunciò allora di voler costituire un nuovo partito, l'Unione Sindacalista Italiana. Ma l'iniziativa del Bianchi non ebbe sviluppo e ciò fu oggetto di un ampio dibattito sulla Scintilla e di un convegno tra numerose organizzazioni economiche del Ferrarese e del Bolognese. Nel 1911 diresse le agitazioni nel Ferrarese per la costituzione degli uffici di collocamento e la revisione dei patti colonici, cercando di frenare le manifestazioni degli scioperanti più scalmanati, suscettibili di rendere più difficile la via dell'accordo, e deferendo infine la composizione della vertenza ad un arbitrato prefettizio.

Alla fine del 1911 il Bianchi poteva fare un bilancio nettamente positivo delle forze aderenti alle sue direttive in quanto l'unità tra le varie tendenze e tra le varie categorie del movimento operaio ferrarese aveva resistito alla prova, portando gli aderenti alla Camera del Lavoro di Ferrara dai l4.000 della fine del 1909 ai 34.000 dell'11. Forte di questo successo, il Bianchi decise la trasformazione della Scintilla da settimanale a quotidiano. Ma l'iniziativa non resse alle difficoltà finanziarie. La pubblicazione quotidiana del giornale durò infatti soltanto dall' aprile all' agosto del 1912. Incriminato per un articolo eccessivamente denigratorio della guerra libica, contro la quale aveva organizzato agitazioni, il Bianchi nell'agosto 1912 riparò a Trieste, allora austriaca, dove entrò a far parte della redazione del Piccolo. Espulso dalla città alla fine dello stesso anno per propoganda filo-italiana, tornò a Ferrara per un'amnistia, e qui diresse la Battaglia, un giornale fondato in vista delle elezioni politiche, alle quali si presentò candidato di un effimero Partito Sindacale, senza successo. Al congresso delle organizzazioni sindacali del Ferrarese, tenuto il 27-28 dicembre del 1913, dopo che i sindacalriformisti avevano deciso di organizzarsi separatamente dai sindacalisti, gli veniva nuovamente offerta la carica di segretario della Camera del Lavoro sindacalista, che però rifiutò. Trasferitosi a Milano, divenne uno dei dirigenti della locale Unione Sindacale, che era aderente all'omonimo organismo nazionale.

Scoppiato il conflitto europeo, il Bianchi si schierò nettamente per l'intervento dell'Italia contro gli Imperi Centrali, e, visto vano ogni tentativo di allineare su questa posizione l'intera Unione Sindacale Italiana, decise di secedere da tale organismo, fondando con la maggior parte degli iscritti milanesi e parmensi, il 5 ottobre 1914, il Fascio Rivoluzionario d'Azione Internazionalista, di cui divenne Segretario, firmando il manifesto detto “appello ai lavoratori d'Italia”. In esso egli invocava l'immediato intervento dell'Italia per rendere più sollecita e decisiva la vittoria dell'Intesa, inaugurando il sindacalismo rivoluzionario interventista. Nel dicembre 1914 il FRAI si trasformò in Fascio d'Azione Rivoluzionaria e il Bianchi fu tra i promotori del congresso nazionale di Milano del 24-26 gennaio 1915, allo scopo di coordinare le iniziative dei vari fasci locali. Partecipò alle agitazioni milanesi del 31 marzo per l'immediato intervento dell'Italia. Fu in tali circostanze che trovò unità d'intenti con Mussolini.Dichiarata la guerra, riuscì nonostante la malferma salute ad arruolarsi come volontario, col grado di sottufficiale prima nella fanteria e poi nell'artiglieria. Per impedire uno sgretolamento del fronte interventista, causato e dalla carenza delle direttive di governo e dall'azione neutralista, riunì a Milano, il 21-22 maggio, un congresso dei Fasci d'azione rivoluzionaria. A ostilità concluse, il Bianchi fu per breve tempo Redattore capo del giornale di Mussolini, il Popolo d'Italia, dove per lo più si occupò di questioni sindacali, insistendo sul problema dell'unificazione dei vari organismi esistenti, da realizzarsi al di fuori di ogni tutela dei partiti. Sansepolcrista, come membro del Fascio milanese, fu, durante l'adunata di piazza S. Sepolcro del 23 marzo 1919, nominato membro del comitato centrale dei Fasci di combattimento. Ai primi di ottobre fu inviato da Mussolini a Fiume, per dissuadere D'Annunzio dal proposito di intraprendere una marcia all'interno del paese. Fu in questa occasione che D'Annunzio autorizzò Mussolini, attraverso il Bianchi, a utilizzare per la campagna elettorale Fascista parte dei fondi raccolti per Fiume. Si preparava intanto la trasformazione del movimento Fascista in partito, e il Bianchi vi collaborò attivamente. Nell'agosto 1921 partecipò all'istituzione della scuola di propaganda e cultura Fascista, e vi tenne la conferenza inaugurale. Costituitosi il Partito Nazionale Fascista nel novembre 1921, il Bianchi fu eletto membro del comitato centrale, e quindi, come uomo di fiducia di Mussolini, Segretario Generale e membro della commissione incaricata di elaborare il programma-statuto del partito.

Al Bianchi furono affiancati quattro vice segretari, A. Starace, P. Teruzzi, A. Bastianini e A. Marinelli costituendo in tal modo l'unione di tutte le correnti del partito, di cui Bianchi costituiva l'ala sindacalista. Tra i membri della segreteria si sarebbe così costituita ben presto una fitta rete di collaborazione che avrebbe portato il Fascismo al trionfo.L'attività del Bianchi come dirigente del Partito è anche contraddistinta, in questo periodo, da una sottile politica mediatrice, tale da permettergli di sottoporre le manifestazioni periferiche dello squadrismo a un più severo controllo del centro, costituendo un ispettorato centrale delle squadre di combattimento. Nella primavera-estate del 1922 lo scatenarsi dell'offensiva squadrista in tutto il Regno trovò il Bianchi in prima linea: così il 29 maggio, in occasione delle manifestazioni Fasciste bolognesi contro il Prefetto, ordinava il passaggio dei poteri dai direttori dei Fasci locali ai Comitati d'azione e annunciava il proprio trasferimento a Bologna. Proclamato dall'Alleanza del lavoro lo sciopero legalitario per il 1° agosto, il Bianchi inviava a tutte le federazioni una circolare con la quale ordinava la mobilitazione delle squadre e la loro entrata in azione se lo sciopero non fosse cessato entro quarantotto ore, informando inoltre di persona il governo e il Re circa i propositi Fascisti.

Alle riunioni del comitato centrale, della direzione, del gruppo parlamentare Fascista e della presidenza della Confederazione delle corporazioni del 13 agosto, il Bianchi prospettava l'alternativa tra ascesa al potere con nuove elezioni o per la via rivoluzionaria, dichiarandosi, con Balbo e Farinacci, favorevole all'ultima soluzione. Decisa la Rivoluzione, il Bianchi svolse un compito di primo piano nella preparazione della Marcia su Roma. Da una parte, fu sua cura organizzare più saldamente il partito e allargarne l'influenza anche nelle regioni meridionali; dall'altra, funzionò da spalla di Mussolini nei contatti con le varie forze politiche, compresi gli esponenti del governo Facta. Nominato, in quanto Segretario del partito e rappresentante dell'ala sindacale, membro del Quadrunvirato con De Vecchi, De Bono e Balbo, partecipò il 24 ottobre alla riunione dell'albergo Vesuvio di Napoli, dove vennero concordate le ultime misure (la sagra di Napoli). Tornato a Roma si adoperò, di concerto col Re, affinché fossero sventate manovre parlamentari, e per dirimere le ultime incertezze da parte Fascista. La Rivoluzione fu così un trionfo.

Mussolini, incaricato di formare il nuovo governo, suscitò subito l'accesa protesta del Bianchi contro l'eccessiva larghezza della coalizione, essendo in particolare contro i Popolari. Presentò perciò le dimissioni da Segretario del partito, che non furono accettate. Il 4 novembre Bianchi assumeva la carica di Segretario Generale al Ministero degli Interni, lasciando quindi la segreteria del partito, che venne divisa in due e diminuita d'importanza: una politica (Bastianini e Sansanelli) e un'altra amministrativa (Marinelli e Dudan) con direzione di Sansanelli. Come membro del Gran Consiglio del Fascismo, Bianchi fece parte di una commissione incaricata di elaborare la nuova legge elettorale, il cui progetto fu presentato e approvato il 25 aprile dal Gran Consiglio stesso. Sempre nell'ambito del Gran Consiglio il Bianchi fece anche parte di una commissione incaricata di dettare norme precise per una maggiore valorizzazione delle forze sindacali e tecniche del Fascismo. Bianchi fece parte quindi della cosiddetta pentarchia, incaricata di redigere il listone per le elezioni politiche dell'aprile 1924, nelle quali fu eletto Deputato per la circoscrizione calabro-lucana.

Il 14 maggio rassegnò le dimissioni dalla carica di Segretario generale del ministero degli Interni per incompatibilità con quella di Deputato. Contemporaneamente, in qualità di membro della commissione incaricata di elaborare la riforma del regolamento della Camera, presentò un progetto che prevedeva, tra l'altro, una procedura abbreviata per le discussioni parlamentari, allo scopo evidente di restringere le funzioni del Parlamento. Il 3 giugno, in risposta al discorso della Corona, volto a stemperare le tensioni, si fece portavoce presso il Re della volontà normalizzatrice del governo. Il 31 ottobre 1925 fu nominato alla carica di Sottosegretario di Stato ai Lavori pubblici con compiti specifici per le regioni sottosviluppate, rivolgendo gran parte della propria attività al potenziamento economico della natia Calabria, ottenendo strepitosi risultati. Trasferito il 13 marzo 1928 al Sottosegretariato deI Ministero dell'Interno, partecipò all'attuazione già in corso dell'ordinamento podestarile, alla riforma dello stato giuridico dei segretari comunali, al riordinamento dell'organismo della Provincia, al rinvigorimento della politica sanitaria ed assistenziale. Il 12 settembre 1929 il Bianchi (che era stato rieletto Deputato), venne elevato alla carica di Ministro dei Lavori Pubblici, dove mise a disposizione della Nazione le sue esperienze calabresi. Ma, contemporaneamente, le sue condizioni di salute, già da tempo precarie per una grave malattia, peggiorarono irrimediabilmente portandolo alla morte prematura, a Roma il 3 Febbraio 1930.

Il Bianchi è ricordato ancor oggi come grande politico soprattutto in Calabria, dove vi sono vie e piazze a lui dedicate, nonché busti e monumenti. Tra questi si annovera una stele posta su un poggio, presso il suo paese natio Belmonte Calabro, visibile percorrendo l'autostrada A3. In essa si ricorda il suo impegno per la Calabria e per tutti i lavoratori, gli umili e i diseredati italiani.

(1883-1930)