martedì 6 aprile 2010

ALESSANDRO PAVOLINI (1903-1945)

I Personaggi del Fascismo


ALESSANDRO PAVOLINI (1903-1945)

"Il fascista artistico ed intransigente"


Alessandro Pavolini nasce a Firenze il 27 settembre del 1903. E' di ottima famiglia altoborghese: suo padre, Paolo Emilio, che diventerà anche Accademico d'Italia, è un indianista e orientalista di fama internazionale. Alessandro fin da giovanissimo manifesta la sua vocazione per l’attività letteraria. Ad appena dodici anni (1915) fonda un giornaletto scolastico in cui scrive articoli interventisti. E' studente brillante, si laurea in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, frequentando due atenei, quello di Firenze e quello di Roma.

A Roma per motivi di studio, si accoda alle colonne fiorentine delle Camicie Nere per la parata finale della Marcia su Roma del 1922, quando Mussolini ha già ricevuto dal Re la nomina a Pesidente del Consiglio dei Ministri. Aderisce così al fascismo, iniziando l’attività politica nel Fascio Fiorentino guidato dagli amici Tullio Tamburini e Marchese Dino Perrone. Si lega in particolare a quest’ultimo ed al Federale di Firenze, il Marchese Luigi Ridolfi. Il Federale lo chiama al suo fianco nel 1927 in qualità di Vicefederale.

In questo periodo l'emergente giovanotto, elegante, ottimo giocatore di tennis, brillante conversatore, abbina alla vita politica un’intensa vita mondana, legato in particolare ai salotti di Carlo e Nello Rosselli. Collaboratore di riviste letterarie, scrittore di saggi politici, si cimentò anche nel romanzo e nel 1928 ottenne un primo buon successo con “Giro d'Italia”. Nel 1929 il Marchese Ridolfi lascia a lui la carica di Federale. Pavolini diviene così, a soli ventisei anni, la massima Autorità Fascista di Firenze.

Nella veste di Federale, Pavolini dà al Fascismo fiorentino una connotazione Aristocratica, culturale, artistica, che grande segno lasciò nella vita della città: mostre di artigiani, mostre d'arte, iniziative letterarie furono tra le molte iniziative di questo Federale.

Tra quelle di maggior successo inaugurate da Pavolini spicca il “Maggio musicale fiorentino”, a tutt'oggi una delle più importanti rassegne artistiche a livello internazionale. E' sempre in questo periodo che Pavolini fonda anche una rivista settimanale, “Il Bargello”, organo della Federazione Giovanile Fascista e arguta rivista letteraria.

Nel 1932 Pavolini viene chiamato a far parte del Direttorio Nazionale del Partito, iniziando così le sue frequentazioni a Roma, dove si trasferirà nel 1934, eletto Deputato. E nella Capitale Pavolini si lega all’altrettanto giovane e brillante Conte Galeazzo Ciano.Pavolini, grazie alla sua fama di scrittore e di organizzatore culturale, viene chiamato a presiedere la Confederazione Professionisti ed Artisti. E con questa carica istituisce i celeberrimi Littoriali.

Pavolini inizia anche a scrivere sul Corriere della Sera, lasciando il Popolo d'Italia, dove aveva scritto alcuni articoli. Scoppiata la guerra d’Africa, parte volontario al fianco del suo amico Galeazzo Ciano nella celeberrima “Disperata”. Durante la guerra Pavolini trova anche il tempo di mandare corrispondenze al Corriere della Sera, e dall'esperienza bellica in Africa trarrà il suo secondo libro intitolato appunto “La Disperata”.

Finita l’avventura africana, continua la sua esperienza giornalistica al Corriere della Sera inviando dall’estero corrispondenze, che poi raccoglierà in un volume. In questo periodo inizia a frequentare l’attrice Doris Duranti, senza tuttavia sposarla.

Il 31 ottobre 1939 è nominato Ministro della Cultura Popolare del quinto gabinetto Mussolini. Nel frattempo dà alle stampe con successo il suo ultimo romanzo “Scomparsa d'Angela”. Nella veste di Ministro si circonda di sette Direzioni Generali: stampa estera, stampa nazionale, propaganda, cinema, turismo, teatro, servizi amministrativi. Sotto la sua vigilanza operano, tra gli altri, l'EIAR, la SIAE (Società Italiana Autori ed Editori) ed altri enti, tra cui anche il RACI (Reale Automobile Club d’Italia).

Favorevole all’avvicinamento alla Germania nazionalsocialista ed all’entrata in guerra, contribuisce all’esonero di Badoglio da Capo di Stato Maggiore. Col volgere negativo del conflitto si dimette e il 5 febbraio 1943 assume la direzione del quotidiano “Il Messaggero”, portandovi tutto il suo impeto bellicista.

Con le vicende del 25 luglio 1943 il nuovo Presidente del Consiglio Badoglio, deciso a vendicarsi del “nemico” Pavolini, emette contro di lui un’ordinanza d’arresto; tuttavia Pavolini riesce a riparare in Germania. In Prussia, a Konigsberg si incontrerà col figlio del Duce, Vittorio, già responsabile per la cinematografia.

Da una radio tedesca Pavolini e Vittorio Mussolini si affrettano immediatamente a pronunciare parole di riscossa. Dopo la liberazione di Mussolini (15 settembre 1943), Pavolini partecipa alla fondazione della Repubblica Sociale Italiana, diventando il Segretario del nuovo Partito Fascista Repubblicano (PFR). ‘E Pavolini a sollecitare un Mussolini ansioso di ritirarsi, affinché torni ad essere il Duce del nuovo Stato.

Le vicende di Pavolini nella RSI iniziano con il Congresso di Verona, costitutivo del PFR, al quale Pavolini dà un apporto significativo indirizzato ad una specie di recupero delle parole d’ordine del veterofascismo, connotandolo in senso vagamente socialistoide. Una promessa venne chiaramente espressa da Pavolini: “I traditori del 25 luglio dovranno pagare!”.

L’assoluta volontà di vendetta perseguita più da un ormai fanatico Pavolini piuttosto che dallo stesso Duce, portò al famigerato processo di Verona, assolutamente irregolare e basato sull’assurdo giuridico del Decreto 11/11/43, norma penale ad hoc con effetti retroattivi, vera e propria formalizzazione giuridica della vendetta; i giudici furono inoltre scelti nientemeno che da Pavolini stesso. Peraltro solo sei dei diciannove ricercati erano stati arrestati: Ciano, Marinelli, Gottardi, De Bono, Pareschi.

Tutti furono in tre giorni condannati a morte, salvo Cianetti, condannato a trent’anni di prigione per aver ritrattato il giorno successivo la sua adesione all'ordine del giorno Grandi. Tuttavia la notte del 10 gennaio del 1944 furono preparate dai condannati le domande di grazia; ma nella confusa organizzazione del nuovo Stato, non era stata definita l’autorità cui un’eventuale domande di grazia dovesse rivolgersi. L'avvocato Cersosimo, Istruttore del processo, suggerì: a Pavolini, Segretario del Partito.

Tuttavia, per la contrarietà di alcuni esponenti della RSI, la domanda fu inoltrata prima a Pisenti, Ministro della Giustizia, poi a Buffarini Guidi, Ministro dell'Interno, quindi al Console della GNR Italo Vianini, ispettore della V Zona, e quindi competente per territorio. Così, con una procedura contorta (le domande non furono espressamente respinte ma semplicemente "non inoltrate", e con lo stesso provvedimento Vianini ordinava l'esecuzione della sentenza) i cinque condannati, tra cui l’Eroe Quadrumviro De Bono, furono avviati alla morte, senza che il Duce avesse visto le domande di grazia. A nulla valse la vecchia amicizia che legava Ciano ad un ormai esaltato Pavolini.

Il 30 giugno 1944 Pavolini fonda, quale Comandante Generale, le Brigate Nere come trasformazione del Partito in unità militari: i Commissari Federali diventano Comandanti di Brigata. Tutti gli iscritti al PFR, di età compresa tra i 18 e i 60 anni, possono arruolarsi nelle Brigate nere. I compiti delle Brigate Nere, che spesso raccolsero burocrati ed impiegati poco avvezzi all’uso delle armi, non furono in realtà ben definiti, salvo l’imprescindibile difesa del Partito; in teoria dovevano essere unità combattenti, venendone escluso l'impiego per azioni di polizia.

Di fatto i tedeschi non le vollero mai al fronte e i combattimenti si svolsero solo nella guerra civile contro le formazioni partigiane. Tuttavia fu il caos a regnare, poiché le diverse Federazioni Provinciali costituirono la propria Brigata Nera con criterj diversi e, per mancanza di graduati, si assisté ad eventi curiosi: Caporali che si autonominavano Colonnelli, o, come avvenne a Verona, Marescialli di Marina che prendevano motu proprio il comando di un Reggimento. Questa struttura alquanto caotica divenne insopportabile per i tedeschi, che se ne servirono solo in operazioni di polizia e di rastrellamento: proprio il compito che era stato escluso a priori.

Ormai totalmente slegato dalla realtà della disfatta, ancora a cavallo tra il 1944 ed il 1945 Pavolini scriveva delle sue Brigate Nere: “Le Brigate nere allineano, dai vecchi ai ragazzi, gli uomini di ogni età. O meglio: gli uomini che non hanno età, se non quella del proprio spirito.(…) anelano al combattimento contro il nemico esterno, ma sanno che in una guerra come l'attuale, guerra di religione, non c’è differenza fra nemico di fuori e di dentro. (…) sono una famiglia, questa famiglia ha un antenato: lo Squadrismo; un blasone: il sacrificio di sangue; una genitrice: l'Idea fascista; una guida, un esempio, una dedizione assoluta e un affetto supremo: Mussolini”.

Non si preoccupò di sé stesso: organizzò la fuga in Svizzera della sola sua amante. Vaneggiò di raccogliere ventimila fedelissimi per costituire l’ultima resistenza in Valtellina: là voleva far trasportare anche le ossa di Dante, simbolo dell’Italianità.

Si avviò invece con il Duce, il 25 aprile del 1945 al lungolago di Dongo, dove venne massacrato dai rossi, dopo un inutile tentativo di fuga a nuoto nel lago di Como, gridando “Viva l'Italia!”.

Alessandro Pavolini



(1903-1945)







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