giovedì 5 novembre 2009

ROBERTO FARINACCI (1892-1945)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO


ROBERTO FARINACCI (1892-1945)

Il Fascista “selvaggio”, capace di eroismi come di grotteschi fanatismi; di azioni lodevoli come di azioni sciagurate. Curiosamente formatosi nella socialdemocrazia di Bissolati, divenne l'intransigente ammiratore del nazionalsocialismo tedesco, contribuendo gravemente al triste tramonto del Regime.

Roberto Farinacci nacque ad Isernia il 16 ottobre del 1892, da famiglia d’origine campana. Il padre, Commissario di Pubblica Sicurezza, venne nel 1900 trasferito nel nord: tutta la famiglia si spostò dapprima momentaneamente a Tortona, nell’Alessandrino, e quindi in via definitiva a Cremona.

Il giovane Farinacci lasciò presto la scuola per cercare un lavoro, che trovò all'età di 17 anni, nel 1909, come dipendente delle ferrovie di Cremona, con la mansione di telegrafista ferroviario; il lavoro gli piacque assai, tanto che volle continuare a svolgerlo fino al 1921, quando già aveva iniziato una vivace carriera politico-giornalistica. Negli anni ’10 inizia a seguire le vicende politiche nazionali, interessandosi in particolare al Partito Socialista.

Si avvicina così al concittadino cremonese Bissolati, che, espulso dal PSI con Bonomi in seguito al congresso di Reggio Emilia del 1912 (al quale aveva avuto successo Mussolini), aveva dato vita al Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI), divenendo antesignano della socialdemocrazia dei futuri Partito Socialista Unitario (PSU) e Partito SocialDemocratico Italiano (PSDI). Chiamato come collaboratore al giornale di Bissolati “L'Eco del popolo”, si segnala con articoli di un certo rilievo a favore della Guerra di Libia. Sotto la spinta del suo mentore si lega alla massoneria del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Nel frattempo, ripresi gli studi, riesce a conseguire brillantemente la licenza liceale e si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza di Modena, dove si laureerà, per cause belliche solo nel 1923 in una sessione speciale per ex combattenti, con il celebre giurista Prof. Alessandro Groppali.

Occupatosi della riorganizzazione del sindacato contadino socialista, inizia a mostrare insofferenza nei confronti dei socialisti riformisti e a collaborare volontariamente con “Il Popolo d'Italia” di Benito Mussolini. Allo scoppio della Grande Guerra si dichiara interventista, contrariamente alla maggior parte dei compagni riformisti, ma non di Bissolati, dichiaratosi anch’egli per l’intervento. La rottura con i socialdemocratici è però vicina e si consuma definitivamente dopo un discorso violentemente anti-irredentista che il vecchio Bissolati tenne, tra le proteste, a Milano. Col 24 Maggio del ’15 parte volontario e partecipa per alcuni mesi ai combattimenti, animando dal fronte il settimanale cremonese “La Squilla”. Ottiene tra l’altro una croce al merito.

Con la Vittoria, rotto ogni legame col gruppo socialista riformista di Bissolati e con la massoneria, diventa seguace di Benito Mussolini e con lui fonda nel 1919 i Fasci di Combattimento; l’11 aprile dello stesso anno fonda il Fascio di combattimento di Cremona, cui da una connotazione intransigente, imperiosa e poco diplomatica, tollerando, se non addirittura incoraggiando, la veemenza squadrista. Lo squadrismo, del resto, ben si addiceva al carattere sanguigno di Farinacci, che interpretava la politica in modo “molto fisico e poco spirituale”. Fu così che la sua figura venne sempre più identificata, tanto dai Fascisti quanto dagli oppositori, come “l’inurbano fornitore di manganelli e olio di ricino”.

I suoi modi in effetti erano sempre molto schietti: nelle sue lettere arrivava addirittura ad offendere e minacciare lo stesso Duce!

Nel 1921 viene eletto Deputato a soli 29 anni: l’elezione viene così annullata per la giovane età. Nello stesso anno è con Dino Grandi e Italo Balbo nella ferma opposizione al cosiddetto patto di pacificazione con i socialisti promosso da Mussolini allo scopo di stemperare gli animi. Intanto opera instancabilmente, insieme ad Achille Starace, per una massiccia campagna di propaganda Fascista in diverse regioni Italiane, tra cui la Venezia Tridentina. Con l’approssimarsi della Rivoluzione diviene Console Generale della Milizia. Nel 1922 è tra gli organizzatori della Marcia su Roma e prova a rinviare la seconda scelta pacificatrice e normalizzatrice di Mussolini, sollecitata dalla Corona, in nome di una “seconda ondata di forza” del Fascismo. Tenta pertanto di ostacolare la manovra, ed anzi contesta la stessa creazione della Milizia, nella quale sarebbero dovuti confluire anche i "suoi" squadristi: Mussolini gli inviò allora il Quadrumviro Emilio De Bono che, con in mano un mandato di cattura a lui intestato, seppe essere molto persuasivo.

Era nel frattempo divenuto Direttore del quotidiano Cremona nuova, che nel 1929 diverrà Il Regime Fascista ed è Segretario del Fascio locale sino al 1929. Dal carattere energico e permaloso, affronta in questo periodi diversi duelli, tra cui il più faticoso risulta quello del 28 settembre 1924 col Principe Valerio Pignatelli, in cui patisce una ferita seria.

E’ lui ad assumere la difesa in giudizio di Amerigo Dumini nel processo per l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, ottenendone l’assoluzione. Membro del Gran consiglio del Fascismo, nel febbraio 1925 diviene Segretario Generale del Partito Nazionale Fascista ma resta in carica solo 13 mesi a causa di notevoli divergenze con Mussolini e il Governo, anche riguardo alle funzioni della sua carica. I suoi modi riuscirono anche a provocare uno stallo di diversi mesi nel lavoro diplomatico che il Regime stava intessendo con la Chiesa, che sarebbe stato coronato dal Concordato del 1929.

Alla fine degli anni venti è al centro di una tumultuosa vicenda giudiziaria, denunciando, tramite l’ex Federale di Milano Carlo Maria Maggi, poi espulso dal partito, un presunto intrigo politico, con risvolti economici, perpetrato nel milanese dal Podestà Ernesto Belloni, dimessosi nel 1928 e dal Federale Mario Giampaoli, implicato nel gioco d’azzardo. Farinacci arriva ad accusare Giampaoli di tentato omicidio nei suoi confronti: il Giampaoli viene espulso dal partito nonché citato in giudizio e condannato in base a prove schiaccianti nel 1930.

Dopo tale esperienza si isolò per qualche anno dalla vita politica, dedicandosi alla professione forense e giornalistica raggiungendo grandi risultati: si consideri che il suo giornale “Il Regime Fascista”, a diffusione limitata all'Italia settentrionale, arrivò a vendere più copie del stesso “Popolo d'Italia”. Dalle colonne del suo quotidiano non lesinò attacchi ad alcuno; memorabile resta il suo violento attacco ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce e organizzatore delle Battaglie del Grano e del Rimboschimento, accusato, in modo dimostratosi poi del tutto infondato, di aver ricevuto finanziamenti occulti.

Reintegrato nel 1935 nel Gran Consiglio del Fascismo, allo scoppio della Guerra d’Etiopia parte volontario nella Milizia e si segnala per incontenibile audacia ed ardimento. In guerra “il selvaggio Farinacci”, com'era affettuosamente chiamato dai suoi fedelissimi, si ritrovò con i bombardieri di Galeazzo Ciano, nuovamente insieme a Starace. Conquistò sul campo il grado di Generale. Rimase mutilato perdendo la mano destra in un banale incidente di campo. Rimpatriato, devolse in beneficienza il vitalizio spettantegli.

L'esperienza africana gli valse una rivalutazione soprattutto sotto il profilo militare. Dopo il ritorno trionfale è tra i sostenitori dell’intervento armato per dirimere la questione spagnola nonché della politica di costante avvicinamento alla Germania nazionalsocialista. Inviato come osservatore militare in Spagna durante la guerra civile spagnola inviò importanti e lucide relazioni militari. Ammiratore del nazismo e di Hitler preme per l’introduzione delle leggi razziali in Italia e per una svolta razzista e antisemita del Governo. Strinse stretta amicizia con alcuni gerarchi del nazismo, come Goebbels, avvicinandosi sempre più alle posizioni della dittatura tedesca.

Nel 1939 il Re lo nomina Ministro di Stato e Alto Dignitario della Corona. Contemporaneamente istituisce il “Premio Cremona”, destinato a tutti gli artisti Italiani. Scoppiata la guerra, Farinacci si fa strenuo sostenitore, presso il Re e presso il Governo, dell’assoluta necessità dell’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania. Violentemente contrario alla non belligeranza del 1939, accese una infuocata polemica dalle colonne del suo giornale, talché si dovette spegnere con sequestri, controlli di polizia e faticosissimi richiami all'ordine. Quando poi, nel 1940, la guerra fu alfine dichiarata, Farinacci si diede al minuzioso controllo di potenziali traditori, doppiogiochisti e spie, rasentando sovente il grottesco.

Considerato ormai anche dal Duce un fanatico, fu inviato nel 1941 in Albania quale ispettore governativo delle operazioni belliche. Qui criticò violentemente Badoglio, provocandene l’ira e le dimissioni da Capo di Stato Maggiore.

Tornato in Patria fu allontanato dalla vita pubblica. Informato del possibile cambio di Governo già nel giugno del 1943 forse dallo stesso Grandi, decise di discuterne col Re, col Duce e financo con Hitler, affinché si trovasse una soluzione; tuttavia nessuno dei tre gli diede udienza. Il 25 luglio 1943 criticò l’ordine del giorno Grandi e presentò una sua mozione, votata solo da lui stesso, dal contenuto piuttosto confuso. In essa si chiedeva al Re di attuare una netta “svolta filo-tedesca”, anche con un nuovo Presidente del Consiglio. La stessa sera si rifugia nell'ambasciata tedesca ed il giorno successivo si trasferisce a Monaco.

Torna a Cremona il 22 Settembre 1943, tentando di riprendere il controllo del suo giornale. Mal sopportando l’ingerenza tedesca, si ribella apertamente a questi; viene perciò allontanato e privato di ogni carica e durante la R.S.I. è completamente estromesso dalla vita politica. Insediatosi a Milano presso la Marchesa Medici del Vascello, forse l’unica donna di rilievo della sua vita, il 27 aprile 1945 decide di allontanarsi verso la Valtellina.

Episodio curioso narrato da testimoni oculari, Farinacci chiede all’autista di sedersi dietro e di far guidare lui, benché privo di una mano; a Beverate, frazione di Brivio, trovatosi innanzi a un posto di blocco partigiano, decide di sfondarlo a tutta velocità, ma l'auto viene fermata da una raffica di mitra: l’autista muore sul colpo, la Marchesa Medici viene ferita mortalmente (morirà dieci giorni dopo in ospedale), Farinacci, ironia della sorte, si salva miracolosamente.

Il mattino del giorno dopo, 28 aprile 1945, dopo aver passato la notte in una villa di Merate, subisce un processo sommario partigiano e viene fucilato barbaramente presso il municipio di Vimercate, nel Milanese.

(1892-1945)







martedì 3 novembre 2009

CESARE MARIA DE VECCHI (1884-1959)

I PERSONAGGI DEL FASCISMO


CESARE MARIA DE VECCHI (1884-1959)

Il Quadrumviro Aristocratico e Cattolico. Governatore di ferro nelle Colonie e grande uomo d’azione; rimarrà sempre legatissimo alla Chiesa, che lo proteggerà nell’ora del periglio.


Cesare Maria De Vecchi nacque il 14 novembre 1884 a Casale Monferrato, in Provincia di Alessandria. Il padre Luigi è un notaio; la madre si chiama Teodolinda Buzzoni. Dopo aver frequentato il Liceo, si laurea in Giurisprudenza(1906) e, poco dopo, in Lettere e Filosofia (1908). Nel 1907 si sposa con Onorina Buggino e intraprende la professione di avvocato, ponendo la sua residenza a Novara sino al 1910 e quindi a Torino dove rileva uno studio di avvocato.

Allo scoppio della Grande Guerra nel 1914 decide di far valere il proprio diritto di diventare ufficiale che aveva acquisito nel 1904 surrogando il fratello Giovanni nel servizio militare e quale volontario di un anno diventando sergente il 24 Marzo 1905 nel 1o Reggimento Artiglieria da Fortezza. Combatte per tutto il quadriennio, ottenendo tre medaglie d’argento, due medaglie di bronzo e altre onorificenze minori e congedato definitivamente il 5 Marzo 1919 con il grado di Capitano.

Nel dopoguerra si lega a Mussolini, aderisce ai Fasci di combattimento (1919). Contribuisce in modo determinante alla strutturazione dell’apparato ideologico e sociale del PNF, teorizzando quell’unione di tutti i ceti e le istanze nazionali (appunto i fasci) per il bene supremo della Patria. Nel 1921 è, con Balbo e De Bono, Comandante Generale della Milizia; vivace organizzatore dello squadrismo piemontese, alla vigilia della Marcia su Roma viene nominato Quadrumviro della Marcia su Roma.

Col trionfo della Rivoluzione è subito membro del Gran Consiglio del Fascismo e partecipa al primo Governo Mussolini quale Sottosegretario per l'Assistenza militare e le pensioni di guerra e dall’8 marzo del 1923 quale Sottosegretario alle Finanze.

Il 3 maggio del 1923 si dimette da sottosegretario per contrasti con Mussolini e alla fine del 1923 viene nominato Governatore della Somalia e in quella posizione vi rimane per il periodo 1923-1928. Il 15 Ottobre 1925 diventa altresì Senatore del Regno. Durante il suo mandato coloniale amministra con mano ferma la Somalia, ponendo in atto notevoli operazioni di polizia, che fruttano tra l’altro l’annessione dei Protettorati Sultanali di Obbia e Migiurtinia. La sua durezza viene talora criticata, ma alle proteste rispose già nel suo “saluto ai Somali”: “Io sono il rappresentante del grande capo Mussolini e sono qui per eseguire i suoi ordini. So governare, perché ho governato e ho la mano dura. Non voglio commenti. Ciò che faccio, faccio bene. Questa Colonia non è che una tappa delle vie Imperiali che l’Italia si prepara a raggiungere”. Oltre all’azione militare, De Vecchi si impegna per la promozione e la crescita dell’agricoltura locale, in particolare col potenziamento della stazione agricola sperimentale di Genale e la messa a cultura di oltre 20000 ettari divisi in numerose concessioni. Grazie a questa attività si assiste ad un grande incremento della produzione cotone, della canna da zucchero, di banane. Per sfruttare al massimo la vocazione agricola della Somalia si iniziano ad impiegare tecniche moderne di aridocoltura che permettono di sottrarre terre alla desertificazione.

Allo scadere del suo mandato in Colonia, nel 1928, Presidente della Cassa di Risparmio di Torino carica che lascerà nel 1929 con la sua nomina ad Ambasciatore d’Italia presso il Vaticano. Egli ricopre la carica fino al 1935, anno in cui, alla vigilia del conflitto con l'Etiopia, è nominato ministro dell'Educazione Nazionale (24 gennaio 1935-15 novembre 1936), con il preciso mandato di perfezionare la fascistizzazione della scuola e dell'università, affinché marcino compatte con le falangi del Regime. Tra i provvedimenti presi in questo periodo vi è l’eccellente riorganizzazione della Gioventù Universitaria Fascista (GUF), dei Littoriali, delle manifestazioni studentesche. Tra le attività parlamentari di cui De Vecchi si occupa da segnalare altresì il lavoro per la determinazione degli enti che propongono i candidati alle elezioni politiche (1932), nonché quello per il perfezionamento del sistema corporativo (1934).

All’attività politica unisce quella culturale, divenendo Presidente dell'Istituto per la Storia del Risorgimento (agosto 1933) e Socio nazionale dell'Accademia dei Lincei (6 maggio 1935-4 gennaio 1946). Alla fine del 1936 diviene Governatore delle Isole Italiane dell’Egeo (Dodecaneso) carica che manterrà fino al 1940. In tale veste si occupa della promozione della cultura Italiana nelle isole, finanziando scuole e opere pubbliche, ma suscitando l’ira degli esponenti panellenici. Nel corso del suo mandato di Governatore riorganizza la difesa del Possedimento e alla fine del 1940 si dimette da Governatore per le divergenze di vedute sulla condotta della guerra sia con Mussolini che con gli alti comandi militari. Rimane senza incarichi sino al 20 Luglio 1943 quando viene nominato comandate della 215a Divisione Costiera schierata in Toscana.

Decide di votare a favore dell’ordine del giorno Grandi del 25 luglio 1943. Dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943 la sua Divisione ha scontri di notevole portata con le forze tedesche. Costretto a deporre le armi per ordini superiori, si reca a Torino, rifiutando di riconoscere la RSI. Nei primi giorni del mese di Ottobre 1943 si da alla macchia per evitare l’arresto da parte di membri della neonata rsi e viene aiutato dai salesiani riconoscenti per quanto lui aveva fatto per la santificazione del Fondatore e per le opere sue in giro per il mondo.

Viene nascono in varie strutture tra Piemonte e Valle d’aosta e dopo la guerra a Roma. Rinviato a giudizio anche dal Regno d’Italia diventata poi Repubblica Italiana, con un passaporto paraguagio si trasferisce in Argentina (15 Giugno 1947). Decide di rientrare in Italia nel giugno 1949 solo dopo che la Cassazione ha confermato la sentenza del 1947 che lo assolveva per tutti i capi d’accusa e lo condannava a 5 anni (con applicazione dell’amnistia) per la parte avuta nella Marcia su Roma e si stabilisce a Roma, dove, fortemente debilitato per la ormai malferma salute, si ritira a vita privata. Muore il 23 giugno 1959 nella Capitale all’età di 74 anni e mezzo.

(1884-1959)